Per quelli che, come me, hanno il privilegio (o la disgrazia, dipende dai punti di vista) di unire la passione per la serie animata giapponese “Macross” con quella per il modellismo, due eventi sono stati epocali: l’avvio di una fiorente linea di kit dedicati ai caccia a configurazione variabile da parte della ditta Hasegawa (colosso nipponico specializzato in modelli aeronautici di tutte le epoche) e la successiva realizzazione da parte della Wave di scatole di montaggio dedicate ai Destroid, i mecha destinati al supporto tattico ed alla difesa delle basi e dei vascelli spaziali della U.N. Spacy. Se già in queste poche righe vi è venuto il mal di testa a causa di termini a voi sconosciuti, vi rimando a quanto da me scritto per i modelli di VF-0S e di VF-1J “S-Fast” nonché per il Blu-Ray del film cinematografico “Macross – Ai OboeteImasu Ka”. In tali occasioni, infatti, mi sono lanciato in un sunto di quanto raccontato nella serie animata “ChōjikūYōsai Makurosu” del 1982.
Nella saga di “Macross”, sono mostrati cinque diversi tipi di Destroid che si differenziano fra loro per armamento ed impiego ma che, con l’eccezione del colossale Monster Mk.II, sono accumunati dall’uso del medesimo sistema meccanico di base: un affusato bipede antropomorfo MBR-04. Su quest’ultimo è implementato un sistema d’arma diverso a seconda del modello coinvolto. Gli autori della serie animata “Macross”, una delle prime dalla forte impronta realistica, hanno così voluto mostrare quella che è una giusta e plausibile scelta produttiva. La standardizzazione della componentistica è, infatti, un’opzione vincente nel settore degli armamenti (come in qualunque altro ambito industriale) in quanto consente un elevato rateo produttivo e semplifica lo sforzo logistico. Tutto ciò ha anche il vantaggio di consentire ai produttori di giocattoli di utilizzare lo stesso stampo per più soggetti (emblematici in tal senso erano i “Masters of the Universe”, fra loro tutti uguali salvo testa e accessori). Ne consegue che, nel momento in cui Wave ha annunciato la commercializzazione del suo primo kit di Destroid (il bellissimo MBR-04 MkVI “Tomahawk”), era plausibile aspettarsi che Wave avrebbe realizzato per lo meno tutti e quattro i modelli fra loro simili e, magari, anche qualche speciale sottoversione. Purtroppo non è stato così, per qualche oscura ragione (probabilmente correlata alle piccole dimensioni della società coinvolta) Wave non ha nemmeno completato la linea mancando ancora oggi l’originale MBR-07 Mk II “Spartan”. Ciononostante la commercializzazione da parte di Wave delle scatole di montaggio di ben tre diversi Destroid è motivo di grande gioia per gli appassionati come me. Tra l’altro la scala 1/72 è la medesima scelta da Hasegawa per i sui kit dedicati ai cacciaVF-1. È, quindi, concessa ai modellisti la possibilità di accomunare fra loro i modelli prodotti da società diverse.
Lo SDR-04-Mk.XII “Phalanx” è, nella sostanza, un lanciamissili su affusto mobile. Al posto delle braccia, infatti, è dotato di due enormi contenitori Howard SHIN-SHM-10 “Derringer” per missili a corto raggio autoguidati. L’aspetto a botte di tali rastrelliere è un poco comico ma gli garantisce un design originale e non poco vintage che nessuno, oggi, avrebbe più il coraggio di sviluppare per una serie animata. Operativamente parlando, il “Phalanx” è gravato dal rapido esaurimento dei missili trasportati i quali, potenzialmente lanciabili in una sola salva, lasciano il Destroid inerme ed incapace di difendersi. Per supplire a questo handicap, benché relativo in quanto non si tratta di un mecha destinato al combattimento ravvicinato, esiste una versione successiva del “Phalanx” equipaggiato con una testa dotata di un cannoncino Gatling. Tale variante, mostrata in pochi istanti del cartone animato, si distingue per il colore blu e, purtroppo, non è mai stata oggetto di un kit specifico o di una conversione in resina.
Il modello Wave appare ottimo, certamente superiore a tutto quanto sia mai stato precedentemente proposto in scatola di montaggio. Ovviamente un giudizio definitivo potrà essere espresso solo ad assemblaggio completato ma al momento l’impressione non può che essere ottima grazie a componenti chiaramente ben dettagliati e stampati. Resta inteso che, per soddisfare i modellisti più esperti, sarebbero necessari set aggiuntivi in resina ed ottone fotoinciso così da poter aggiungere dettagli non replicabili in plastica stampata. Purtroppo nemmeno il bulimico mercato giapponese sembra essere interessato a quello che, al momento, resta un sogno apparentemente irrealizzabile.