TnT 66

Il primo articolo della rivista è dedicato ad un mistero: il Borgward IV. L’autore si cimenta in una dettagliata analisi della genesi e dello sviluppo di questo piccolo veicolo cingolato partendo dagli scopi a cui era chiamato ad adempiere: collocare una potente carica esplosiva in prossimità di bunker e creare varchi sicuri nei campi minati. Sorvolando sulle versioni iniziali, il Borgward IV era un cingolato sul cui frontale era presente un cassone sganciabile riempito di esplosivo. Dotato di un posto di guida, il veicolo veniva condotto in modo tradizionale fino alla zona di pericolo. Allontanatosi il pilota, il Borgward IV raggiungeva l’obiettivo via radiocomando, rilasciava la carica e si allontanava prima dell’esplosione. L’esplosivo era tanto potente da distruggere varie tipologie di bunker e da far detonare le mine in un raggio di 20 metri. Tutto questo in teoria. Nella realtà la situazione era molto più complessa; basti pensare che, per collocare il contenitore esplosivo a ridosso dei bunker, il Borgward IV doveva sopravvivere al fuoco dei difensori. Cosa tutt’altro che scontata considerando l’abbondanza di cannoni e fucili anticarro in dotazione alle truppe sovietiche sul fronte orientale. Altrettanto dubbia è la capacità di sminamento del Borgward IV. Quest’ultimo tema mi ha sempre incuriosito molto perciò speravo che quest’articolo diradasse le nebbie che incombono da decenni su questo tema. In realtà l’autore sorvola sulla questione come già fatto da molti altri testi. Tutto ciò sembra confermare che non esistano rapporti precisi sulla questione. Sono portato a credere che i Borgward IV non abbiano mai sminato nulla finendo per incarnare un non raro esempio di spreco di tempo e risorse in seno alla Germania nazista. Ciò sarebbe ulteriormente avvalorato da come tutti i Borgward IV, presto o tardi, siano stati convertiti in veicoli portamunizioni.

L’articolo principale di questo numero di Trucks & Tanks è consacrato al Flak-18 e Flak-36/37 nella campagna di Francia. Per i meno avvezzi al tema, stiamo parlando del famoso cannone da 88 mm o, come usuale nella terminologia tedesca, 8.8 cm. Lo scritto ha il principale scopo di smitizzare un’arma entrata nella leggenda anche a causa della propaganda nazista, sempre affamata di uomini e macchine in grado di catalizzare l’attenzione della popolazione tedesca. Ciò premesso, l’impresa in cui si cimenta l’autore si dimostra subito assai ardua poiché i cannoni Flak da 8.8 cm seppero guadagnarsi sul campo la nomea di cui godono ancora oggi. Ne deriva che, per ridimensionare le capacità dei Flak-18 e Flak-36/37 (già evidenti durante la guerra di Spagna) non bastano giuste ma ovvie considerazioni quali la lunga messa in batteria e il profilo troppo alto. Tali argomentazioni non reggono perché i Flak-18 e Flak-36/37 erano cannoni antiaerei; avevano, quindi, un alto affusto per consentire l’elevazione del cannone fino a quasi 90° e non erano destinati a confrontarsi con i rischi della prima linea. Fu la polivalenza dei Flak da 8.8 cm, progettati con ottiche che ne permettevano l’uso non solo antiaereo ma anche per il tiro diretto ed indiretto contro bersagli terrestri, a indurre l’esercito tedesco ad usarli anche in ruoli anticarro andando così a supplire ad una carenza endemica di tali armamenti che non troverà soluzione nemmeno negli ultimi mesi di guerra. Consapevoli tanto dell’efficacia del calibro da 8.8 cm in ruolo anticarro quanto della necessità di sviluppare un’arma espressamente destinata a tale ruolo, l’industria bellica tedesca diete vita prima al Pak-43/41 come soluzione interinale (in attesa che diventasse disponibile un affusto specifico, fu usato quello del sFH-18) e, successivamente, al più riuscito Pak-43. Nonostante il calibro identico, il Pak-43 era un cannone completamente diverso dai Flak da 8.8 cm tant’è che il proiettile aveva una velocità alla bocca nettamente superiore a quello di questi ultimi. Fu questo cannone dalle prestazioni eccezionali ad essere montato sull’Elefant, lo Jagdpanther ed il Tiger II. A mio parere l’articolo in oggetto manca di considerazioni originali a supporto della tesi che avanza. Anche gli esempi di fatti reali sono carenti (basti pensare che l’unico rilevante riguarda il fronte orientale e non il teatro operativo francese). Ciononostante. L’articolo tratta un argomento secondario molto interessante concernente i Flak da 8.8 cm che, al traino di Sdkfz.7 corazzati o montati sul pianale di Sdkfz.8, furono espressamente predisposti per un uso contro bersagli terrestri.

L’ultimo articolo a mio parere degno di nota è quello concernente il Panzer I. Lettura essenziale per comprendere quanto questo piccolo carro armato, nonostante l’impatto militare esiguo, sia stato importantissimo per lo sviluppo degli impianti industriali tedeschi e per l’addestramento degli equipaggi dei Panzer.

Concludo dando a questo numero di Trucks & Tanks un voto appena sufficiente mancando, anche nell’articolo principe, di quell’originalità e di quel mordente espositivo necessario a convincere un lettore attento e preparato.