Revenge locandina

Negli ultimi anni attendo sempre più con impazienza l’estate poiché, cinematograficamente parlando, è il periodo in cui un appassionato di film di nicchia come me ha la speranza di vedere al cinema film rimasti esclusi da una distribuzione più tradizionale. In Italia i mesi estivi sono considerati poco favorevoli ai grandi incassi poiché ancora esiste l’idea che le città di svuotino a causa di bibliche migrazioni in direzione di spiagge ed altre mete balneari. Sinceramente ritengo che molte cose siano cambiate negli ultimi anni ma i grandi distributori sembrano rimasti fermi agli anni ’70 ed ’80 del secolo scorso, perciò recarsi al cinema ad agosto continua ad apparire come un’abitudine riprovevole in cui persistono solo gli sfigati come me. Ciò premesso, dopo l’interessante The End? L’inferno Fuori, ho sfidato i rientri vacanzieri dei primi giorni di settembre per andare a vedere “Revenge”, film che ha (miracolosamente) goduto di una energica campagna pubblicitaria nonostante appartenga a quel sottofilone chiamato “Rape & Revenge” che non gode né di molti predecessori né di una particolare attenzione da parte del grande pubblico.

Revenge” mi ha subito interessato non solo per il genere a cui appartiene ma anche e soprattutto per il fatto di essere il primo di tale categoria ad essere diretto da una regista donna. Le mie aspettative di originalità non sono state tradite dalla francese Coralie Fargeat la quale confeziona un film impreziosito da un punto di vista tutt’altro che banale. La regista francese, inoltre, non teme di spingersi fino al pulp (se non al puro gore) grazie a sanguinolenti effetti speciali capaci di scaraventare lo spettatore nella carnalità più fisica ed estrema.

Come usuale non mi dilungherò sulla trama, riassumibile in poche righe e recuperabile senza difficoltà nel mare magnum di Internet. Basti dire che la protagonista, portata dal “fidanzato” (sposato con figli) in una lussuosa villa nel nulla del deserto australiano, verrà violentata da uno dei due amici di quest’ultimo. Nel momento in cui lei, sconvolta, minaccia di dire tutto alla moglie del “fidanzato” sarà da questo scaraventata in un burrone. La ragazza sopravvivrà con conseguente e giusta vendetta.

Vorrei soffermarmi su alcuni temi e scelte narrative che considero particolarmente rilevanti in un film che, seppur non perfetto, ha vero stile. Prima di tutto viene chiarito una volta per tutte che una donna deve avere il diritto di essere sensuale e giocare con le corde dell’attrazione senza per questo essere incolpata di prostituzione o giustificare violenti comportamenti predatori da parte degli uomini. Sarà proprio la violenza subita, sia fisica che morale, a portare la protagonista verso una vera e propria trasformazione nel corpo e nella mente. Da un aspetto esteriore di bambolina dalla vita piena di illusioni giovanili, si trasformerà in un diavolo vendicatore tanto sorprendente quanto incapace di perdere quella femminilità che la contraddistingue e che la rende Donna. Non si sforzi inutilmente chi millanta l’irrealismo di molte scene legate alla (miracolosa) guarigione della ragazza da ferite altrimenti mortali (prima fra tutte l’essere trafitta al ventre da un ramo dell’albero su cui cade gettata dal dirupo). Si tratta di allegorie. La ragazza di prima deve morire per risorgere, come una fenice, dal suo stesso dolore. Non per nulla saranno le fiamme a liberarla dall’albero su cui è stata infilzata ed il fuoco a cauterizzarne il ventre su cui resterà impressa una fenice, marchio della birra la cui lattina incandescente è usata allo scopo.

Altrettanto interessanti sono le modalità con cui i tre aguzzini trovano la morte. Il primo a cadere è colui che si è limitato a guardare lo stupro senza intervenire. Egli morirà pugnalato agli occhi. Chi ha fisicamente violentato la protagonista vive il lento supplizio (lungamente condiviso con lo spettatore) di un profondo taglio alla pianta del piede in cui si è conficcata una grossa scheggia di vetro (astuta trappola tesa dalla ragazza). È impossibile non notare come la ferita al piede richiami una vagina ed il dolore lancinante sia dovuto al corpo estraneo che vi si è infilato. Il “fidanzato” che, gettando la ragazza dal dirupo gli ha provocato la ferita all’addome, sarà ferito a morte da quest’ultima proprio al ventre.

Ci sarebbe anche altro da citare (ad esempio la pochezza e vigliaccheria dello stupratore, la violenza nascosta del “fidanzato”, il gioco di opposti fra il velato nudo femminile iniziale e l’integrale nudo maschile finale) ma credo di aver già detto abbastanza a favore di un film che vi consiglio di vedere a patto che sappiate apprezzare film fuori dai canoni tradizionali come quello in oggetto e che non vi spaventino protagoniste nettamente superiori ai comprimari maschili.