Immancabile ogni anno come la vendemmia, anche quest’anno è arrivato nelle sale il nuovo film di Woody Allen. Considerato che l’attore e regista ormai plurottantenne realizza ininterrottamente dal 1982 un film all’anno, penso possiate perdonarmi se confesso di non essermi strappato i pochi capelli che mi restano alla notizia dell’arrivo nelle nostre sale di “Cafè Society”. Mi permetto un poco di ironia perché sono un grande ammiratore di Allen. A prova di ciò, val la pena ricordare che, nonostante tutto, non mi sono perso neanche la sua precedente fatica: quell’”Irrational Man” su cui non potei fare a meno di dire la mia anche l’anno scorso. Rispetto a quest’ultimo, il nostro amato regista torna a temi ed ambientazioni a lui certamente più care e più consone ma, a mio parere, il risultato finale non è del tutto riuscito.
Ambientato nei primi anni trenta, “Cafè Society” è una celebrazione appassionata ma disillusa dei grandi fasti della Hollywood dell’epoca e dell’opulenza in cui vivevano i grandi attori, sceneggiatori ed agenti che vi ruotavano attorno. Con lo svolgersi della trama, non manca nemmeno un’ispirata celebrazione a New York e, soprattutto, a Manhattan, luoghi amati dal registra ed ormai iconici nella sua filmografia. Se poi vi si aggiunge la maestria e l’attenzione con cui Allen cura regia, messa in scena, sceneggiatura ed ambientazione, si può facilmente intuire quanto profondamente alleniano possa essere considerato“Cafè Society” che, quale ciliegina sulla torta, non risparmia nemmeno sferzate ironiche alla religione ebrea ed alla commistione del bel mondo con la criminalità organizzata.
Tutte queste caratteristiche che sarebbero facilmente considerabili dei pregi, secondo me, diventano in “Cafè Society” dei difetti. A determinare un tale ribaltamento di giudizio è il fatto che il film è fin troppo alleniano. “Cafè Society” è scritto da Woody Allen, per essere interpretato da Woody Allen. Nel momento in cui ciò non è possibile perché un ottantenne non può certo interpretare un protagonista di vent’anni scarsi, diventa inevitabile imporre di impersonare Woody Allen ad un attore che, nel bene e nel male, non è Woody Allen. Ciò crea un corto circuito che nuoce inevitabilmente al film.
Ciò non vuol dire che Jesse Eisenberg non dimostri un’eccezionale bravura nel farsi carico di questo arduo compito. Al contrario è palese il suo impegno nel tentare l’impresa ed i risultati sono notevoli tanto che è evidente quanto l’attore si sia studiato con cura non solo la postura, i movimenti e la mimica di Woody Allen ma anche il modo unico con cui quest’ultimo indossa i pantaloni a vita alta. Ciononostante Jesse Eisenberg non è Woody Allen. La mancanza di quest’ultimo è evidente in tutto il film ed in particolar modo nelle poche ma importanti scene create per dare estrema espressione alla verve comica dell’assente Woody Allen.
Nonostante quanto appena detto, non è mia intenzione indurre a conclusioni troppo negative. Del resto, quanto sopra descritto è percepibile solo ed elusivamente se si è coltivato negli anni una forte affezione nei confronti di Woddy Allen quale attore e personaggio; se si è amato, apprezzato e, in qualche modo, assimilato i suoi tic, le sue manie, il suo modo di fare. In mancanza di ciò è, probabilmente, impossibile accorgersi quanto Jesse Eisenbergnon scimmiotti Allen o, comunque, la cosa non può che restare di secondaria importanza. Ne consegue che queste mie personali critiche non devono far passare in secondo piano i pregi di “Cafè Society” che rimane un ottimo film, di una qualità ormai rara e con una storia intensa e amara che intende stimolarci a perseguire sempre la felicità anche se è la strada più incerta e difficile.