Il regno dei sogni e della follia locandina

Con mia grande sorpresa, Lucky Red (http://www.luckyred.it) ha distribuito nelle sale italiane il documentario in oggetto grazie a due serate speciali concentrate fra lunedì 25 maggio 2015 e martedì 26 maggio. Girato nel 2011, il lungometraggio di Sunada traccia un affresco estremamente interessante di quel monumento all’animazione mondiale che è lo Studio Ghibli e, tramite esso, dei profili personali e professionali dei sui registi-icona, Hayao Miyazaki e Isao Takahata (solo sfiorato dall’opera in questione) nonché del produttore esecutivo Toshio Suzuki. Il documentario, dal taglio moderno e molto ben diretto, racconta la vita presso lo studio nei mesi precedenti la conclusione dei lavori su due film probabilmente destinati ad essere ricordati come gli ultimi dei rispettivi registi: “Si alza il vento” di Hayao Miyazaki e “La principessa splendente” di Isao Takahata. Opere che, con tutta probabilità, segneranno anche la fine dello studio d’animazione vista l’età dei due registi. Inutile aggiungere che furono mesi molto particolari e condizionati da emozioni intense e contrastanti che vengono molto ben comunicate dal documentario.

Non mi dilungherò in inutili racconti degli eventi narrati. Un documentario, per sua stessa natura, deve essere visto. Ogni tentativo di riassumerlo non sarebbe in alcun modo efficace. Ciò è particolarmente vero in questo caso ove, a forti elementi emozionali, si somma anche il tratteggio della psicologia, tanto affascinante quanto complessa, di Hayao Miyazaki.  E’ lui, a tutti gli effetti, il vero protagonista di questo racconto di vita. Ci viene mostrato, in tutta la sua umanità, nel corso delle giornate trascorse lavorando a “Si alza il vento”, in studio come a casa, attraverso riprese mai invadenti e sempre capaci di portare alla luce il lato più vero e quotidiano dell’uomo Miyazaki e di chi lavora con lui. Il quadro così delineato è affascinante. Miyazaki si racconta con grande naturalezza lasciando trapelare, più o meno inconsciamente, le sue virtù, contraddizioni e difetti. Emerge in tal modo il ritratto di un grand’uomo, condizionato e ferito da esperienze personali importanti (prime fra tutte la guerra ed il rapporto con suo padre) che sono alla base di una visione del mondo e della vita tanto personali quanto di spiccata saggezza ed originalità. Elementi questi che, del resto, impregnano ogni suo film. Come questi ultimi, Miyazaki si dimostra estremamente “giapponese” eppure riesce ad essere contemporaneamente diversissimo dai suoi compaesani che lo attorniano. Salvo Toshio Suzuki, tutte le altre persone mostrate e raccontate nel documentario appaiono insignificanti rispetto a lui. Difficile non restare basiti assistendo ai pochi minuti di monologo del figlio Goro, discorso da cui traspare una meschinità ed inconsistenza caratteriale disarmante. In quanto doppiatore del protagonista de “Si alza il vento”, ampio spazio è concesso anche ad Hideaki Anno, creatore di quel successo mondiale che è “Neon Genesis Evangelion” e spesso additato a successore ideale di Miyazaki, ma ogni confronto con quest’ultimo è veramente impossibile tanto Anno appare piccino rispetto al suo vecchio maestro. Non intendo con tutto ciò idolatrare Miyazaki in quanto, riassumendo ai minimi termini, egli è un uomo che semplicemente esprime le sue personali idee (geniali o discutibili che siano) perseguendole con convinzione. E’, paradossalmente, proprio questo ad essere sufficiente per elevarlo rispetto agli altri.

Concesso quanto precede, lavorare con Miyazaki non deve essere facile per un Giapponese la cui forma mentis è, generalmente, poca avvezza a comportamenti originali e ad atteggiamenti relazionali non focalizzati al compromesso. E, però, proprio questa “diversità” di Miyazaki a rendere i suoi lavori unici. E, credo, sia anche la ragione principale per cui la “sua” animazione morirà con lui. Non è solo una questione caratteriale ma anche e soprattutto di concezione del lavoro in generale e del disegno in particolare. Alcuni passaggi del documentario sono emblematici in tal senso. Miyazaki e Suzuki ragionano chiaramente su come sia diventato praticamente impossibile realizzare i film d’animazione dello Studio Ghibli tanto sponsor, distributori e reti televisive siano refrattarie a contenuti di spessore, messaggi critici e finalità non puramente commerciali. Il risultato sono ingerenze su autori e studi d’animazione impossibili da contenere e gestire con conseguente, palese appiattimento e banalità di gran parte delle serie giapponesi ultimamente proposte. Contrariamente a tutto ciò, le opere dello Studio Ghibli hanno sempre saputo rappresentare un esempio da seguire per gli autori e gli animatori più coraggiosi nonché una fondamentale eccellenza nel panorama mondiale dedicato alla settima arte. Anche per questo motivo, il documentario  “Il regno dei sogni e della follia” è assolutamente imperdibile per tutti gli appassionati sinceramente interessati ad approfondire il Miyazaki pensiero e la realtà rappresentata dallo Studio Ghibli. Siate, però, consci che si tratta, in ultima analisi, di un omaggio/epitaffio. Data l’età dei suoi fondatori, lo Studio Ghibli è, purtroppo, destinato ad estinguersi senza lasciare, al momento, eredi all’orizzonte.