Quando, nel corso della Prima Guerra Mondiale, i carri armati inglesi comparvero per la prima volta sui campi di battaglia l’effetto fu tale da cambiare drasticamente il concetto stesso di guerra. Questo breve incipit non deve far credere che i Tank costruiti dagli Inglesi, nonostante la loro semplicità, fossero esenti da difetti o che fosse già chiara e definita la strategia migliore per impiegarli. Al contrario, fu necessario maturare una lunga esperienza sul campo e compensare pesanti perdite prima di ottenere risultati apprezzabili. Ciononostante, fu subito palese agli occhi dei più raffinati e lungimiranti strateghi militari che la nuova macchina bellica era destinata a dominare i campi di battaglia come aveva già fatto la mitragliatrice.
Nonostante, quindi, un impatto tattico altalenante, la Germania impegnata nel primo conflitto mondiale cercò di trovare il più rapidamente possibile soluzioni efficaci per contrastare l’arrivo al fronte dei carri armati inglesi e, successivamente, francesi. Tale sforzo fu concentrato lungo due direttrici: da una parte l’Impero Austroungarico cercò di produrre carri armati di propria concezione per compensare il gap tecnologico creatosi rispetto agli avversari; dall’altra tentò di sviluppare armamenti in grado di fermare i Tank inglesi. Quest’ultimo aspetto portò alla nascita dei primi fucili anticarro ed all’uso di cannoni col preciso intento di distruggere i carri armati. Si determinò così una corsa agli armamenti che proseguì ben oltre il 1918 e che vide muoversi su binari paralleli lo sviluppo tecnologico dei carri armati ed il potenziamento degli armamenti destinati a distruggerli.
Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale portò con sé un radicale cambio di strategia che mise il carro armato al centro delle operazioni militari. Ne conseguì una pari importanza delle armi anticarro. Ciò era particolarmente vero in seno all’esercito tedesco in quanto tenuto ad affrontare avversari avvantaggiati da una schiacciate superiorità numerica anche e soprattutto per quanto concerne i carri armati. Fin dall’invasione della Russia nel 1941, fu essenziale dotare la fanteria degli armamenti necessari a distruggere i mezzi corazzati avversari poiché non sempre erano disponibili Panzer in grado di intervenire a supporto dei fanti. L’industria bellica tedesca era altresì incapace di produrre un numero sufficiente di cannoni anticarro per equipaggiare adeguatamente le Infanterie-Division e, tanto meno, era in grado di compensare le perdite subite. Con il prolungarsi della guerra divenne, quindi, sempre più urgente ed essenziale sviluppare armi leggere, economiche ed efficaci che permettessero ai soldati di distruggere i carri armati avversari conservando sufficienti probabilità di sopravvivere. Fu tutt’altro che semplice trovare la quadratura di tali esigenze, il percorso fu lungo e ricco di insuccessi ma, dopo lunghi anni di attesa, il fante tedesco ricevette a partire dal 1944 due armi che si dimostrarono tanto efficaci quanto essenziali: il “Panzerfaust” ed il “Panzerschreck”.
Benché copia potenziata del Bazooka americano, lo sviluppo del “Panzerschreck” vide alcune tappe intermedie fra cui quella che porta il nome di 8.8 cm Raketenwerfer 43 “Puppchen”. Utilizzando sostanzialmente lo stesso razzo del “Panzerschreck”, il “Puppchen” era null’altro che un lanciarazzi su affusto. Era evidentemente un’arma più pesante, costosa e complicata da maneggiare del “Panzerschreck”; non stupirà quindi sapere che ne furono costruiti poche migliaia di esemplari essendovi rapidamente preferito il “Panzerschreck”. Ciononostante il “Puppchen”, prestazioni alla mano, era più efficace del “Panzerschreck” in quanto il razzo, meglio stabilizzato e diretto, riusciva ad avere una precisione ed una gittata ben superiore a quello tirato con un “Panzerschreck”.
L’esemplare presente al Militracks 2019 non brilla certo per perfezione di restauro ma resta un soggetto interessate e molto utile per i modellisti che volessero cimentarsi nella ricostruzione della complessa culatta dell’arma.