Questo mio blog è certamente una vetrina di tutto rispetto per le innumerevoli passioni e manie che attanagliano l’esistenza del sottoscritto. Se non bastassero tutte quelle che hanno già avuto spazio su queste pagine on line, ecco che un film appena uscito nelle sale mi offre il pretesto per fare coming out ed ammettere un altro mio colossale difetto: sono un appassionato assoluto di tutto quanto ruota intorno al film “Predator” del 1987, compresi tutti i sequel e gli spin off che, più o meno riusciti, si sono susseguiti nel tempo.
Le ragioni sono semplici, “Predator” non solo è una pietra miliare imprescindibile del genere fantascientifico ma ha anche fortemente segnato la mia infanzia. Legati al mondo del cinema, ho due ricordi indelebili dovuti alle fortissime emozioni che provai da bambino vedendo per la prima volta in televisione (i) la battaglia sul pianeta Hoth in “L’Impero colpisce ancora” e (ii) il momento in cui l’alieno cacciatore si toglie l’elmo/visiera nella scena finale di “Predator”. Con tali antefatti non posso che essere un cultore assoluto sia di “Star Wars” che di “Predator”. Come ben sanno gli appassionati come me, quest’ultimo franchising (così come quello di “Alien”) non ha goduto di sviluppi cinematografici veramente degli di nota una volta superati gli anni ’80. Un vero peccato perché non mancherebbe il materiale originale per sviluppare storie all’altezza di un tale soggetto. Ciononostante mi sono sempre goduto al massimo quel poco che è arrivato sul grande schermo, senza farmi troppi problemi o illusioni. E’ per me inevitabile un tale atteggiamento. In quanto appassionato, sono, per mia stessa natura, incapace di un serio discernimento. Sono talmente contento di rivedere sullo schermo un qualsiasi “Predator” da azzerare il mio senso critico. In altre parole, come qualsiasi vero appassionato, sono in una condizione tale da farmi andar bene qualunque cosa le case cinematografiche rifilino al pubblico. Salvo il fatto che ciò permette a queste ultime di mettere su schermo qualsiasi cavolata, si tratta di un atteggiamento che non giudico seriamente negativo. Alla fin fine si tratta di chiudere per qualche ora in cantina la propria componente più adulta per lasciar liberamente scorrazzare per la casa lo spirito bambino che portiamo con noi.
E’ con tale propensione che mi sono approcciato al nuovo “The Predator” di Shane Black, famoso e capace sceneggiatore e buon regista con un raffinato gusto anni ’80. Egli rivestì anche il ruolo di uno dei componenti del team capitanato da Schwarzenegger nel primo “Predator” (era quello con gli occhiali addetto alle comunicazioni).
Che vi devo dire?
A me il film è piaciuto un sacco. Vi ho ritrovato una serie di elementi non solo legatissimi al linguaggio cinematografico del vecchio film ma anche caratteristici del modo di fare cinema degli anni ’80. Il tutto senza disdegnare una serie di originalità e novità che danno una marcia in più alla pellicola.
Premessa tale valutazione ed espresse le ragioni che l’hanno causata, il film rappresenta un ennesimo, enorme fallimento che, in quanto tale, fa rimpiangere ancora una volta il “Predator” del 1987. Questo nuovo “The Predator” è, dunque, l’ennesima dimostrazione di come nel nuovo millennio non si sappiano più fare bei film? Siamo ormai condannati a considerare come ormai ineguagliabile il cinema d’azione degli anni ’70 ed ’80? In realtà non è così. Allo spettatore attento non può sfuggire che il film sia girato molto bene; sia solido nella storia e soprattutto nei personaggi e nella sceneggiatura (elementi essenziali in cui Shane Black eccelle da sempre). Il problema principale è il montaggio. Il film è stato palesemente tagliato in innumerevoli scene. A causa di ciò, si susseguono eventi slegati fra loro, si perdono anche le semplici ragioni per cui i personaggi compiono certe azioni o si trovano in un certo luogo. Se ciò non bastasse, alcune scene chiave sono state evidentemente rigirate in fretta e furia appiccicandole nel film senza la necessaria cura. Il risultato è un film monco, disorientante, incapace di raggiungere il pathos necessario anche e soprattutto nel finale. Lo spettatore ha pure la certezza che, tutto questo rimaneggiamento al ribasso, lo abbia anche privato di quella rivelazione a cui tende l’intero film e che è stata evidentemente eliminata perché forse giudicata troppo innovativa.
“The Predator”, a mio avviso, riesce comunque a regalare un paio d’ore di gioia ma, nascosta fra le pieghe di quest’ultima, resta viva la delusione per quel che avrebbe potuto essere ma non è stato.
Quali sono le vere ragioni di tutto ciò?
Al giorno d’oggi i film costano quanto il PIL di un paese africano ed i produttori hanno il terrore di non coprire le spese con gli incassi al botteghino. Ne consegue che l’originalità e la novità spaventano moltissimo in quanto portano con sé il rischio di non piacere al pubblico. Sono queste le ragioni di fondo per cui il cinema attuale vive di sequel, prequel e spin-off di vecchie glorie passate o di cinefumetti supereoristici; in tutti questi casi esiste uno zoccolo duro di fan che garantiscono in (quasi) ogni caso un incasso adeguato. È nella dipendenza dai fan che questo meccanismo diabolico si inceppa dimostrando tutti i suoi limiti. Il fan, in quanto tale, estremizza la propria passione per trasformarla in una ragione di vita, in un culto cieco che idolatra quello che è puro entertainment. Si sente in diritto di giudicare il lavoro dei professionisti del settore (almeno di quelli rimasti come, appunto, Shane Black). Pretende di condizionare le scelte narrative, cassandole ancor prima che vedano la luce. Pare assurdo ma tutto questo, nell’attuale mondo dei social, è possibile e favorito dalle case cinematografiche che, affamate di riscontri, cercano con anteprime e focus test di cogliere i gusti del pubblico. Il problema è che il fan, per le ragioni dette sopra, è totalmente incapace di una valutazione critica oggettiva. Ancora peggio, pretende che i nuovi film facciano provare le stesse emozioni di trent’anni prima. Cosa assolutamente impossibile perché è lo spettatore stesso che, non essendo più un bambino, è incapace di vivere lo stesso coinvolgimento provato da piccolo. Ecco allora che registi e produttori si ritrovano schiacciati fra la quadratura dei conti e la necessità di accontentare i gusti infantili di adulti nevrotici.
È evidente che questo sistema è assolutamente folle perché impone a registi e sceneggiatori di limitare la propria libertà creativa per compiacere gusti e manie di persone prive delle necessarie competenze. Le conseguente possono essere nefaste come nel caso di “The Predator”. Doveva ancora uscire il primo trailer che già i fan avevano sentenziato sarebbe stato un pessimo film. Le cose sono solo andate peggiorando quando si è intuito quanto ciò avesse gettato la produzione nel panico più assoluto. Shane Black ha dovuto mettere mano alla sua opera con tagli e modifiche che hanno distrutto il film. Tendo a credere che il regista, contrariato da tutto ciò, abbia volutamente reso evidenti tali interventi in una sorta di protesta passiva contro le imposizioni subite. A questo punto non mi resta che sperare in un futuro Blu-Ray che ridia giustizia al film grazie ad un director’s cut che permetta agli appassionati di godere di “The Predator” per come avrebbe dovuto essere.