Pochi giorni dopo aver visto “La Forma dell’Acqua” di Guillermo Del Toro, ho avuto occasione di vedere il film di McDonagh, altra pellicola oggetto di una campagna pubblicitaria che ha sapientemente sfruttato le critiche positive e, soprattutto, le numerose candidature agli Oscar. Il successo non si è fatto attendere troppo per quest’opera che ha saputo conquistare due premi prestigiosi quali sono gli Oscar per la Miglior Attrice Protagonista e per il Miglior Attore Non Protagonista. Per quanto possa valere il mio giudizio, entrambi i riconoscimenti sono stati concessi a buona ragione in quanto “Tre Manifesti a Ebbing, Missouri” è un film solido e convincente non solo per la storia narrata ma anche e soprattutto per le interpretazioni degli attori coinvolti.
Come usuale non intendo anticipare nulla della trama il cui sunto potete facilmente trovare in siti ben più attendibili di questo mio blog. Ciò che vorrei comunicare a tutti coloro che fossero tanto coraggiosi da cimentarsi nella lettura di queste righe è che “Tre Manifesti a Ebbing, Missouri” è un film come raramente capita di veder distribuito nei cinema odierni. Palesemente scritto e girato per raccontare una storia e, con essa, una morale non banalizzata dal desiderio di piacere al grande pubblico, la pellicola prende di petto temi tanto drammatici quanto crudelmente attuali. Impossibile negare un intento critico verso l’America che ha generato il fenomeno Tramp ma il film non si limita a questo. Non manca il coraggio di scavare a fondo per portare alla luce atavici pregiudizi e ossessioni che da sempre condizionano il modo di essere della provincia americana e che, a ben guardare, sono realtà comuni a tutto il mondo occidentale (o lo stanno sempre più diventando). Fino a qui, non ci sarebbe nulla di particolarmente originale. Si tratta di materia che ha nutrito centinaia di film e romanzi a cominciare da “Il Buio oltre la Siepe”.
Sono due gli aspetti che, a mio parere, permettono a “Tre Manifesti a Ebbing, Missouri” di svettare al di sopra di pellicole similari. Prima di tutto non viene mai persa la dimensione puramente locale dei fatti narrati. Non c’è il comune cittadino americano (tipologia umana che si vorrebbe erroneamente della fazione democratica e con la faccia di Tom Hanks) che, posto in circostanze eccezionali, reagisce ponendosi a modello per gli USA interi. Tutto quanto raccontato conserva e mantiene una dimensione limitata, indigena, ristretta in un microcosmo condizionato da rancori fra vicini, ripicche ed opportunismi del tutto personali in cui tutto ciò che viene da fuori è sempre e comunque negativo e pericoloso. I tre manifesti del titolo sono il j’accuse di una madre a cui hanno violentato ed ucciso la figlia. Dopo sette mesi senza che sia stato trovato il colpevole, ci si aspetterebbe che la protagonista protesti allo scopo di ottenere per lo meno l’intervento dell’FBI. In realtà non è così, il testo sui manifesti contesta direttamente e solamente la polizia locale ed il suo comandante. Col proseguire della storia si comprende che le ragioni di ciò risiedono sostanzialmente nella ristrettezza di vedute dei personaggi stessi. Essi sono ingabbiati, fisicamente e mentalmente, nella realtà che più direttamente li circonda. Sono del tutto disinteressati e, sostanzialmente, incapaci di proiettarsi al di fuori dei confini del loro piccolo mondo locale. Tutto ciò non solo compromette irreparabilmente le possibilità di scoprire la verità ma banalizza il dramma alla base della vicenda facendo sottintendere l’esistenza di un’infinità di orrori simili che, non uscendo da una dimensione puramente locale, sono destinati a restare ignoti e sconosciuti. Non è però un comportamento unidirezionale, anche il mondo esterno si disinteressa del dramma locale andando ad alimentare un isolazionismo distruttivo e pericoloso.
Il secondo aspetto è, a mio parere, assolutamente inaspettato. “Tre Manifesti a Ebbing, Missouri” è un film crudo, duro, in cui dinamiche parentali e sociali mostrano senza edulcorazioni l’abisso di cui è capace l’animo umano. Anche da questo punto di vista, l’opera di McDonagh non si distingue da tanti altri film di denuncia. Ciò che rende la pellicola veramente originale è che lo svolgimento della storia concede allo spettatore un’inattesa speranza. La speranza che le persone possano cambiare in meglio grazie ad un impulso che deriva da un evento che tocca le vite di tutti. È questo evento, tanto drammatico quanto foriero di importanti conseguenze, a spezzare la catena di cattiverie a cui i personaggi sono legati. Il messaggio è potentissimo: un’azione positiva ha la rivoluzionaria capacità di interrompere il susseguirsi di torti che alimentano altri torti. Il film vuole farci capire che la violenza non fa che giustificare e determinare altra violenza. Appena si interrompe tale perverso meccanismo scegliendo di rispondere ad una cattiveria con un gesto di cortesia e di perdono, le persone si trovano davanti ad un bivio e, se non cattive di natura, sceglieranno probabilmente di replicare al bene ricevuto compiendo del bene e migliorando sé stesse ed il mondo che li circonda. Con queste parole non voglio farvi credere che “Tre Manifesti a Ebbing, Missouri” scivoli nel favolistico e nel buonismo più estremo. Il film è e resta fin troppo realistico nei personaggi e nella trama; ciononostante concede ai protagonisti un’evoluzione migliorativa che si ripercuote sullo spettatore permettendogli di uscire dalla sala col lusso di poter coltivare una qualche speranza di redenzione per il genere umano.
Non si tratta di un aspetto da poco perché ciò permette al film si ancorarsi saldamente nella memoria dello spettatore e, magari, di influire sui suoi comportamenti futuri.
Sono troppo ottimista? Probabilmente sì ma è in questa capacità di influenzare lo spettatore che si distingue il vero Cinema da pellicole commerciali prodotte al solo scopo di incassare denaro.