La Forma dell'Acqua locandina

Appena venuto a conoscenza di questo film e del suo incipit, ho subito nutrito il desiderio di vederlo al più presto. Quando ho poi saputo che la pellicola è stata candidata a ben 13 Oscar, andare al cinema il prima possibile è diventata un’esigenza improrogabile. Che cosa mi ha immediatamente conquistato di questo film fin dalla lettura delle prime recensioni? Senza dubbio l’originalità della trama di cui è protagonista una donna delle pulizie che lavora presso un laboratorio governativo ove è imprigionata e sottoposta a test una creatura simile al mostro de“Il Mostro della Laguna Nera”. Non avevo bisogno di sapere altro per fiondarmi al cinema con un entusiasmo che trae giustificazione da una singolarità certamente rafforzata dalla triste banalità di gran parte dei film commerciali che passano attualmente nelle sale. Mi sono, quindi, approcciato al film con aspettative che, per fortuna, non sono state tradite.

La Forma dell’Acqua” (“The Shape of Water” in Inglese) è un film molto particolare che appartiene a quella categoria di difficile definizione che è il genere fantastico. A voler condensare in poche parole l’intera opera, la si potrebbe paragonare ad una sorta di “La Bella e la Bestia” ambiento durante la Guerra Fredda. Come tutte le etichette, anche questa non rende pienamente giustizia a quanto è apposta e, infatti, il film in oggetto è, per fortuna, anche molto di più.

Benché di genere fantastico, la pellicola non perde mai una nota di fondamentale realismo. Spesso crudo ed a volte violento, il film scava con efficacia nell’animo umano dimostrando quanto spesso la vera mostruosità si celi dentro un corpo normale e non si rispecchi nella deformazione fisica.

Nonostante l’opera contenga una forte nota di romanticismo e, a tratti, ricordi lo stile narrativo de “Il meraviglioso mondo di Amelie”, Del Toro riesce ad evitare contaminazioni eccessivamente favolistiche. A prova di ciò basti pensare che, benché il richiamo a “La Bella e la Bestia” sia inevitabile, protagonisti non sono belle principesse da salvare e principi maledetti bensì una donna delle pulizie molto anonima (almeno a prima vista) e una creatura antropomorfa, mostruosa nell’aspetto che non si trasformerà allo spezzarsi di un incantesimo.

L’ambientazione anni ’50 è affascinante. Di una precisione maniacale, consente un salto nel tempo di un’efficacia che raramente mi è capitata di vivere durante la visione di un film. Tutto appare perfetto in ogni dettaglio. Le automobili dell’epoca godono di un’attenzione che entusiasmerà tutti gli appassionati poiché non mancano modelli bellissimi messi in risalto come ad una sfilata storica.

Ritrovare in un film del 2018 il dualismo USA/Unione Sovietica crea un effetto nostalgia fortissimo. Tra l’altro il tema portante del film (la mostruosità è nell’anima non nel corpo) si rispecchia anche nel gioco di spie fra il governo statunitense e il KGB ove proprio un infiltrato russo si dimostrerà più corretto ed onesto degli “eroi” americani e dei suoi stessi capi.

Quanto precede non deve far credere che il regista scivoli in una rappresentazione idealizzata degli anni ’50/’60. La storia narrata è spunto per critiche feroci, indirizzate prima di tutto all’attuale realtà statunitense la cui classe dirigente è al potere proprio grazie a quell’“America First” che vuole richiamare alla memoria i “fasti” del dopoguerra.

Guillermo Del Toro non lesina bordate al sistema americano nella sua totalità. Senza voler essere esaustivi, cito per dovere di cronaca:

  1. Il rapace e distruttivo desiderio di supremazia dei militari e del governo USA che, lanciati nella corsa alla conquista dello spazio, erano pronti a compiere le nefandezze peggiori pur di precedere i Russi nell’impresa. Ovviamente arrivare per primi sulla luna è, nel film, una metafora rappresentante qualunque fine “superiore” dei giorni nostri, fra cui l’approvvigionamento energetico, la supremazia militare e geopolitica, etc.;
  2. Ciò che rende ancor più tagliente la critica precedente è che il fine “superiore” da raggiungere è, in realtà, solo una copertura per giustificare ed ottenere l’affermazione personale. La carriera e l’apprezzamento dei superiori diventano il mezzo per assicurarsi il successo e, con esso, la supremazia sulle altre persone. Tutto ciò ha il fine ultimo di compiacere il capitalismo più sfrenato che si incarna nell’acquisto di un’auto nuova ed extralusso. In questo nefasto gorgo possedere l’oggetto tanto desiderato diventa il fine ultimo da perseguire a qualunque costo poiché permette di ostentare il proprio potere e successo personale;
  3. Non sfuggono a quest’ultima regola, la grande casa, la bella moglie e i figli (rigorosamente due) che compongono il classico quadro della perfetta famiglia americana, simbolo di affermazione professionale e sipario di pura apparenza che nasconde un palcoscenico fatto di becero maschilismo, indifferenza genitoriale, frustrazioni e tradimenti;
  4. Il regista non fa sconti, l’America è profondamente razzista oggi come lo era in epoca di segregazione razziale o poco dopo. Nel film il razzismo si esprime nel modo più personale e, quindi, becero e feroce. Scandisce la vita quotidiana offendendo e ferendo nelle azioni, negli atteggiamenti e nelle parole che diventano taglienti come rasoi perché pronunciate con brutale consapevolezza.

I personaggi principali sono tutti affascinanti. Splendidamente caratterizzati, sanno conquistare e convincere con poche ma incisive pennellate registiche e dettagli narrativi. L’empatia con gli spettatori è ulteriormente assicurata dal fatto che i protagonisti sono tutti, per un motivo o per l’altro, dei diversi, dei reietti esclusi della plastificata ed apparente perfezione a cui anelano e si uniformano gli altri personaggi e, soprattutto, l’antagonista assoluto. Sono le loro diversità a renderli splendidamente umani favorendo sentimenti ed emozioni che li distinguono ulteriormente e li elevano al di sopra della massa.

Per ultimo ma non meno importante, è l’inaspettata e per questo sorprendente e piacevole carica erotica del film. A conferma ulteriore di quanto la pellicola sia tanto fiabesca quanto realistica, la principessa che si nasconde nelle sembianze anonime di una comune donna delle pulizie nasconde pulsioni più che normali e comprensibili mentre il principe mostruoso cela dei desideri ed un’umanità tanto intensi quanti inaspettati. Queste due anime sole e sensibili sapranno superare le loro differenze fisiche per trovare un’unione che, non solo spirituale, il film si guarda bene dal nascondere. Tutto ciò regala alla pellicola un’originalità che, a voler essere sinceri, non dovrebbe essere tale. Del resto chi può veramente credere che Bella e la Bestia, soli in un grande castello, si limitassero a ballare il walzer?