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Sono fin da giovane età un appassionato della saga di “Star Wars“. Le incredibili emozioni che mi diede vedere per la prima volta in televisione la battaglia sui ghiacci del pianeta Hoth ne “L’Impero colpisce ancora“, sono parte indelebile e vivissima dei miei ricordi d’infanzia. Ho visto e rivisto decine di volte la prima trilogia degli anni ’70 e ’80. Pur di contemplarla sul grande schermo, sono riuscito a reggere la riedizione della stessa che, motivata da rapaci scopi commerciali, cercava di autogiustificarsi con l’aggiunta di qualche scena inedita assolutamente inutile. Sono sopravvissuto anche alla nuova trilogia che, già pessima al momento della sua creazione, è invecchiata malissimo e oggi risulta ancor più inguardabile di prima. Come un vero immortale, ho affrontato anche la sfida dell’odioso count down di ben 52 settimane con cui Disney ci ha ammorbato il 2015 per il lancio pubblicitario dell’Episodio VII, primo capitolo di una terza trilogia. Film che, in concreto, ci ha permesso di dimenticare le follie cartoonesche della trilogia più recente ma che risulta essere una zuppa riscaldata estrapolata dai tre film originari e declinata per compiacere i teenager attuali. Sarebbe eccessivo dire che l’Episodio VII “Il risveglio della Forza” non mi sia piaciuto ma certamente non si è dimostrato all’altezza delle aspettative che avevo e che un marketing spropositato ed ingiustificato avevano gonfiato in modo sciagurato.

Nel contesto sopra descritto, “Rogue One” è un perla tanto desiderata quanto lungamente attesa. La strategia Disney per gli anni che verranno sarà di alternare un episodio della nuova trilogia ufficiale con uno spin off che racconti storie parallele i cui fatti sono solo vagamente accennati nella saga principale. La fine del 2016 ha, quindi, visto uscire “Rogue One”, pellicola che narra i fatti che permisero alla Ribellione di entrare in possesso dei piani tecnici della Morte Nera, essenziali per l’elaborazione del piano d’attacco che permetterà la distruzione di quest’ultima mostrata nell’Episodio IV del 1977. “Rogue One” ha, di conseguenza, alcune caratteristiche al momento uniche: narra una storia con una fine netta, i personaggi non sono chiamati a diventare icone religiose per il sempliciotto pubblico americano e si ambienta nell’universo della prima trilogia a cui lo spettatore è nettamente più affezionato. Si tratta di premesse potentissime che, fortunatamente,  Gareth Edwards riesce a gestire con grande maestria. Regista di soli due film precedenti ma entrambi di ampio consenso e successo (il quasi indipendente ed originalissimo “Monsters” del 2010 e “Godzilla” del 2014, rispettoso omaggio al genere dei Kaiju nipponici), Edwards non ha timore di distaccarsi il più possibile alla mitologia di “Star Wars” pur di perseguire un’originalità ormai dimenticata dal pubblico e per questo ancora più esplosiva. Il regista abbandona quei temi iconici ma ormai usurati legati alla Forza, ai Jedi ed alla genealogia di Luke Skywalker, per concentrarsi su personaggi umanissimi, privi di poteri particolari e dalle psicologie variegate così da svilupparli liberamente in un contesto bellico che non contrappone bianco e nero, buoni e cattivi, ma si dipana, come nella realtà, in variazioni di grigio. Non soddisfatto da tutto ciò, il regista ripudia anche quella fastidiosa vena fiabesca che ha sempre infarcito “Star Wars” per confezionare quello che, in definitiva, è un puro film di guerra; un bel film di guerra perché il regista, dando qualche buon spallata ai paletti sicuramente imposti da Disney, sa allargare le maglie della censura dei produttori per confezionare un film realistico, duro e sporco come non si era mai visto in un prodotto di questo genere. Emblematici sono, sotto questo punto di vista, due importanti scene: la prima, ad inizio film, in cui il protagonista uccide a sangue freddo un informatore impaurito e, soprattutto, la seconda in cui coloro che decidono di continuare a combattere contro l’Impero, ammettono di farlo perché ormai non hanno più nulla da perdere avendo compiuto le peggiori e più infime azioni pur di favore la vittoria della Ribellione. Di grande efficacia sono anche le scene la cui tecnica di ripresa è chiaramente ispirata a sequenze reali di combattimenti in Viet Nam e nell’attuale Medio Oriente.

RogueOne” ha, a mio parere, un altro punto di forza che deriva dalle caratteristiche sopra descritte: è un film chiaramente destinato ad un pubblico di quarantenni e, quindi, a chi era bambino ai tempi dell’uscita della prima, storica trilogia. Se da un punto di vista nostalgico questo fattore porta il film ad omaggiare mondi, personaggi e veicoli visti in quest’ultima, ha soprattutto il pregio di ripudiare gli insipidi attori imberbi del recente Episodio VII per mostrare le gesta di personaggi adulti, forgiati dagli eventi di cui sono stati parte. Ovviamente apprezzo questo aspetto perché io per primo non sono più un ragazzino ma sono convito che, oggettivamente, il film ne guadagni assai.

Mi permetto una parola sulla critiche che ho avuto modo di leggere/sentire ed aventi ad oggetto una presunta lentezza della prima parte della pellicola. Sinceramente le reputo sciocchezze generate dalla superficialità o dal gusto alla lamentela. Come insegna ogni grande romanziere, è necessario fornire le informazioni alla base dello sviluppo successivo ed è quello che avviene del film in questione.

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Concludo consigliando vivamente la visione di “Rogue One” non solo agli amanti della fantascienza in generale ma soprattutto ai fan disillusi di “Star Wars” che vi ritroveranno più di un motivo per compiacersi del film ed augurarsi che il suo successo sia tanto seminale da spingere i produttori a proseguire sulla via di un maggior realismo.