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Unitamente alla mia incondizionata passione per “Orgoglio e Pregiudizio” nonché, inevitabilmente, per qualunque cosa scritta o riguardante la sua autrice, Jane Austen, esistono altre due incontestabili verità: la bulimica ingordigia dell’entertainment per tutto quanto riconducibile a questa tanto amata scrittrice (doveroso citare ad emblema di tutto ciò “Orgoglio, pregiudizio e zombie”) e, rovescio della medaglia, la rara ben riuscita delle trasposizioni televisive e cinematografiche delle sue opere. Se “Amori e Inganni” è per sua stessa natura un’ulteriore conferma della vigenza ancora attuale delle prima regola (si tratta di un romanzo breve, fra i primissimi scritti dalla Austen e concluso tanto frettolosamente da poter essere considerato incompleto), sfugge, invece, alla seconda legge sopra citata in quanto risulta essere un ottimo film.

Non era affatto scontato che “Amori e Inganni” (“Lady Susan” è  titolo originario del romanzo da cui è tratto nonché nome della protagonista) potesse rientrare fra la ridotta rosa di quei film e serie televisive che sono riuscite nell’ardua impresa di portare con successo sullo schermo un’opera di Jane Austen. Il compito era particolarmente arduo per innumerevoli motivi. Fra essi spicca, primo fra tutti, l’imperfezione dello scritto di partenza. Essendo “Lady Susan” un romanzo giovanile della Austen, vi si trovano certamente i semi di quello stile che renderanno grande l’autrice ma non è certo indicabile come l’opera offrente il maggior e miglior materiale per una trasposizione cinematografica. Ciò è ancor più vero se si considera la poca affezione che l’autrice stessa doveva provare per questo romanzo che, forse considerato troppo ambizioso rispetto alle sue capacità di scrittrice in erba, fu gestito con la sbrigatività tipica della sperimentazione. “Lady Susan”  fu una sorta di banco di prova per temi e personaggi poi sviluppati altrove. Con queste basi, dare vita ad un film capace di soddisfare gli esigenti fan di Jane Austen era una missione praticamente senza speranza. Ciononostante l’impresa è, a mio parere, pienamente riuscita. A sancire tale successo vi sono innumerevoli aspetti ma penso che, quello certamente più importante, sia stata la passione che tutto lo staff realizzativo ha dimostrato di nutrire per Jane Austen e le sue opere. Ogni singolo minuto di “Amori e Inganni” trabocca di tale amore incondizionato che si incarna in una meticolosa ricostruzione di ambienti e costumi, riprese ed inquadrature curatissime, interpretazioni semplicemente perfette degli attori e, soprattutto, in un lavoro di regia e sceneggiatura che riesce nella miracolosa impresa di compensare le manchevolezze di “Lady Susan” ricavando, proprio dalle opere più riuscite della Austen, tutti quegli elementi tipici del suo stile narrativo che l’autrice stessa avrebbe potuto inserire nella sua opera giovanile per completarla a darle quella perfezione che certamente avrebbe meritato. In altre parole, “Amori e Inganni” merita di essere visto non solo perché è un bel film ma anche perché è più austeniano del libro da cui è tratto.

Se quanto precede non vi bastasse, sappiate che in “Amori e Inganni” vi troverete alla massima potenza quell’acuta ironia con cui Jane Austen ha sempre saputo descrivere la società del suo tempo. E’ proprio la protagonista, Lady Susan, che ne incarna il meglio ed il peggio risultando tanto cinica e manipolatrice quanto affascinate ed amabile. Nonostante il sospiro di sollievo che si prova nel momento in cui falliscono le sue opportunistiche manipolazioni della realtà, è impossibile per lo spettatore non amarla e, contemporaneamente, ammirarla per la maestria con cui riesce a cavarsela in ogni circostanza. Un altro elemento che la rende eccezionale è il modo straordinario con cui usa la parola. Ne esalta a tal punto le capacità ammalianti da essere fulgido esempio di come la dialettica possa essere un’arma senza eguali. Lady Susan è, infatti, rinomata come una persona di grande cultura e raffinatezza ma, in realtà ed in più di un’occasione, si dimostra profondamente ignorante affermando inesattezze non comuni neanche ai suoi scarsamente dotati interlocutori. Nonostante ciò, il potente uso della parola di cui sa fare è sempre in grado di salvarla, preservando costantemente e proficuamente l’apparenza che gli permette di sopravvivere.

Concludo con una nota di elogio a Kate Beckinsale, interprete di Lady Susan, a cui è finalmente stato permesso di emanciparsi dai vari “Underworld” e “Van Helsing”.