Recarsi al cinema con grandi aspettative sul film da vedere è sempre una pessima cosa. Ne ho avuto recente conferma con il nuovo “Star Wars” e, purtroppo, anche con il film in oggetto. Iñárritu è un regista che gode di una notevole fama sia in positivo che in negativo, personalmente l’unica altra sua opera da me visionata è “Birdman” che mi era piaciuto moltissimo. Questa esperienza molto positiva mi ha portato a vedere “Revenant” colmo di grandi speranze; attese anche suggestionate dalla campagna mediatica che vuole in questo film la riscossa di Di Caprio verso un Oscar ad oggi ancora negato.
Dire che sono stato deluso dall’ultima fatica di Iñárritu sarebbe una falsità. Nei fatti, il film mi è piaciuto ma non mi ha convinto del tutto. Per analizzare le ragioni di ciò, credo sia necessaria una disamina della figura di Di Caprio nel contesto del film. A mio parere l’attore riesce ad interpretare il ruolo affidatogli con una bravura ed una intensità di tutto rispetto sostenendo la misera trama in modo convincente e molto personale; il problema della pellicola non è, quindi, la capacità attoriale di Di Caprio (già confermata in molti recenti casi) bensì il Di Caprio quale superstar. Con un VIP di tale calibro in un film, ci si aspetta che tutto ruoti intorno a lui. Ciò non significa che la pellicola debba essere costruita a misura di attore (molti sono gli esempi in cui ciò è avvenuto con risultati pessimi) ma certamente è bene che la storia narrata abbia fulcro nel protagonista interpretato dalla superstar di turno.
In “Revenant” tutto ciò non avviene. Questo non perché Di Caprio non rivesta il ruolo del personaggio principale della storia narrata ma semplicemente perché il film stesso è girato con lo scopo di mostrare/raccontare altro. Il modo e le ragioni per cui matura nel protagonista un desiderio di vendetta tanto forte da permettergli di superare (spesso in modo inverosimile) le difficoltà più estreme e cruente è, in verità, solo un pretesto per comunicare tutt’altro allo spettatore. Legandosi tutto ciò ad un certo compiacimento ed autocelebrazione di Iñárritu nell’esprimere le sue capacità di regista, si determina una netta messa in secondo piano della storia narrata ed uno svilimento dell’importanza del protagonista. Ne consegue che il personaggio interpretato da Di Caprio sia, per sua natura e gestione registica, incapace di bucare lo schermo. Nonostante l’ottima interpretazione di Di Caprio (anche gravata da infiniti silenzi espressivi), il personaggio non riesce a colpire, suggestionare e conquistare lo spettatore, inficiando l’intero film. Per queste ragioni, non credo che Di Caprio vincerà l’Oscar come attore protagonista di “Revenant” a meno che non vogliano concederglielo più come omaggio alla carriera che per l’interpretazione in questo film.
Sorge, a questo punto, una domanda spontanea: cosa vuole comunicare la pellicola in questione? Prima di tutto la potenza, la bellezza e la crudeltà della natura selvaggia. Il film è ambientato nei primi decenni dell’800, sui confini di quella che all’epoca era la frontiera americana, e gode di panoramiche ed inquadrature mozzafiato anche se volutamente tutt’altro che paradisiache. A questo si collega la rapace ed insensata voracità degli Europei che, ai primordi di un capitalismo senza regole, distruggono e divorano tutto (anche le forme in cui credono che Dio si manifesti loro) pur di arricchirsi. Correlato a quest’ultimo tema è la condizione degli Indiani d’America che, seppur non presentati secondo i canoni del banale mito del buon selvaggio, incarnano un rapporto più autentico con la natura e le sue regole e, per questo, pagano in modo disastroso la defraudazione e lo sfruttamento della loro terra da parte dell’uomo bianco.
Quanto precede è il mio pensiero su un film che resta molto particolare, non va approcciato come si farebbe per una pellicola d’avventura o western e che, sono certo di non sbagliare, se non avesse avuto Di Caprio come protagonista sarebbe passato quasi ignorato nelle sale.