E’ onestamente difficile non accorgersi dell’arrivo nelle sale italiane del film in oggetto. Le numerose candidature agli Oscar, i premi già vinti nonché il notevole gruppo di attori coinvolti, rendono la pellicola in questione imperdibile oltre che ampiamente e facilmente pubblicizzabile da parte dei distributori nostrani. Benché poco informato su trama e regista, mi aspettavo molto da quest’opera nel momento in cui ho varcato la soglia del cinema che lo proiettava e, devo dirlo subito, non ne sono stato affatto deluso. Al contrario, sono convinto di aver visto a febbraio 2015 il miglior film dell’intero anno. Troppo pessimista? Ne dubito considerando quello che, da ormai troppi anni, il cinema americano ci impone/propone. Proprio il decadimento della qualità delle opere hollywoodiane è uno dei numerosi temi trattati dal film. E’ con particolare accanimento, irrisione e drammatica consapevolezza che i grandi blockbuster degli ultimi anni vengono accusati di aver fatto regredire il pubblico ad uno stadio infantile, privandolo di ogni capacità di giudizio estetico e contenutistico allo scopo di potergli rifilare qualunque prodotto, anche il più pessimo. Il tutto innescando un processo a tal punto perverso da portare gli spettatori stessi a chiedere e pretendere sempre la stessa storia, lo stesso personaggio, la stessa visione unilaterale, semplificata e rassicurante della vita e del mondo. Non penso sia difficile intuire che tutto ciò mi trova perfettamente d’accordo ed è anche per questo che ho apprezzato moltissimo l’irriverenza con cui il registra ha esplicitamente mostrato i protagonisti di alcuni dei film che reputa responsabili di ciò: Spiderman, Iron Man e BumbleBee dei Transformers.
Quanto precede ha radici profonde nel film di Iñárritu. Il fulcro di tutta la vicenda narrata è, infatti, il desidero di rinascita artistica del suo protagonista che, salito alla ribalta del pubblico interpretando anni addietro un supereroe mascherato (il “Birdman” del titolo), vuole ora riscattarsi dallo stesso dimostrando a pubblico e critica di essere un grande attore. A tale scopo decide di investire tutti i suoi soldi e la sua carriera nell’opera teatrale “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore”, tratta dal racconto di Raymond Carver e di cui, oltre ad interpretare il personaggio principale, cura sia l’adattamento che la regia in vista di una imminente rappresentare a Broadway. Si innesta, così, un profondo intreccio fra la rappresentazione cinematografica e la realtà. E’ importante ricordare, infatti, che il protagonista di “Birdman” è quello stesso Michael Keaton che interpretò nel 1989 il “Batman” di Tim Burton, personaggio a cui il pubblico lo legò indissolubilmente condizionandone non poco la carriera. Neanche Edward Norton è esente da tali conflittualità con il mondo dei supereroi americani. La sua interpretazione di Hulk nell’omonimo film del 2008 fu segnato da tali conflittualità con regista e produttori da fargli rifiutare lo stesso ruolo nelle pellicole successive (baraccone “Avangers” compreso). Non so dire quanto ciò abbia compromesso la carriera di questo poliedrico attore, di sicuro posso dire che, a mio giudizio, dopo molti personaggi secondari o sotto tono, è stato proprio nel film in oggetto che ho finalmente ritrovato un Edward Norton nel pieno delle sue capacità ed in un ruolo degno di lui.
L’interpretazione di tutti gli attori coinvolti in “Birdman” è un altro fattore che mi ha fatto gridare al miracolo. Erano anni che non mi capitava di vedere un cast capace e brillante impegnato a dare vita a personaggi complessi, di grande umanità e portati al limite da una sceneggiatura tanto incalzante quanto mordace, articolata ed impudente. Il risultato è un realistico e coinvolgente affresco delle debolezze, contraddizioni, qualità e difetti dell’essere umano. Particolare attenzione è data alla psicologia maschile, fragile ed egoista, sempre tesa all’affermazione personale e pronta a sacrificare tutto in nome di una gloria in realtà irraggiungibile o drammaticamente effimera.
Le performance degli attori impegnati nel film sono gestiti con sapienza dal regista che non si sottrae a sorprendenti virtuosismi fra cui spicca ineguagliato un piano sequenza che, se non proprio ininterrotto, perdura per tutto il film salvi due, massimo tre stacchi fatti coincidere con inquadrature del cielo di New York nei momenti di passaggio dal giorno alla notte e viceversa. Questa scelta stilistica, utilizzata solo in pochi altri casi, impone un grande impegno da parte della troupe e degli attori che devono continuare a girare ed a recitare ininterrottamente passando con destrezza e maestria da una scena ad un’altra senza alcuno stacco. Quella del piano sequenza ininterrotto, oltre ad essere visivamente sorprendente, permette un’immedesimazione totale dello spettatore che viene risucchiato dal vortice inarrestabile di eventi, situazioni e battute che si susseguono nel film.
Su tutto ciò aleggia una componente fantastica legata a poteri paranormali del protagonista che gli permetterebbero addirittura di volare. Il regista, sapientemente, non concede chiare conferme della cosa allo spettatore a cui è lasciata libertà di decidere se si tratta di follia o di una verità a prova del prodigioso che può esserci in ognuno di noi.