Vizio di Forma locandina

In ambito cinematografico, posso ritenere di vivere alcune settimane di grazia. Nel giro di poco tempo ho avuto l’occasione di vedere uno dietro l’altro alcuni film di notevole pregio fra cui spicca, dopo “Birdman” assai premiato nell’ultima notte degli Oscar, la pellicola in oggetto. Premetto di aver rischiato il linciaggio al termine della proiezione da parte degli amici che avevo trascinato al cinema e correttezza impone di sottolineare che Paul Thomas Anderson confeziona un nuovo film di non facile visione. Aleggia anche in questa sua opera un certo ermetismo che potrebbe essere indigesto ai più. Del resto i lavori precedenti del regista, primo fra tutti “The Master”, offrono chiari esempi di un cinema non certamente destinato al successo presso il grande pubblico. I film di Anderson sono, a mio parere, opere condizionate dal desiderio di incarnare una forma espressiva e comunicativa autonoma, originale ed inconsueta. Ne derivano caratteristiche che possono essere punti di forza del film ma anche gravi difetti. “Vizio di forma” non fa eccezione anche se non eguaglia quegli estremi che spinsero gli spettatori con cui vidi  “The Master” a votare all’unanimità il suicidio di massa. Da un punto di vista strettamente personale, ho riscontrato nella pellicola in oggetto un racconto eccessivamente confuso dei fatti narrati. La comprensione e la fruibilità della storia risultano assai difficili anche a causa del gran numero di personaggi presenti, i quali sono citati spessissimo ma mostrati sullo schermo solo in brevi scene o a film avanzato.

Ciononostante “Vizio di forma” è, a mio parere, un ottimo film. Molto ben recitato da tutti gli attori del cast, racconta una storia molto interessante e coinvolgente, si avvale di personaggi dalle caratterizzazioni estreme ma convincenti e gode di una ambientazione fricchettona di grande fascino. E’ quest’ultimo il punto di forza principale del film. La pellicola è ambientata nella California degli anni ’70 e racconta (indirettamente ma con grande efficacia) il dramma sociale che rappresentò l’avvento della cocaina. In breve tempo essa distrusse completamente il mondo psichedelico ma, per alcuni versi, idilliaco dei Figli dei Fiori californiani dediti alla marijuna e ad una economia di semplice “sostentamento”. A tutto ciò si sostituirono i cartelli di narcotrafficanti sudamericani appoggiati localmente da imprenditori senza scrupoli e autorità statali corrotte che, applicando un capitalismo estremo e criminale, cancellarono tutto quanto li aveva preceduti arrivando addirittura a gestire tanto il capillare spaccio di cocaina quanto le lussuose cliniche di disintossicazione.

Doc Sportello, interpretato da un Joaquin Phoenix in stato di grazia e su cui è lecito domandarsi fino a che punto stia effettivamente recitando tanto il personaggio è realistico e ben interpretato dell’attore, è un residuato dell’epoca hippie ormai estinta che, una canna dietro l’altra, si improvvisa investigatore privato a tempo perso. Il suo coinvolgimento in un caso ben più grande di lui da parte della ex fidanzata di cui è ancora innamorato, è il pretesto per l’avvio di un noir dai mille risvolti e sottotrame che tanto deve ad illustri predecessori quanto è condizionato dallo stile sconclusionato ed inafferrabile del suo regista.

“Vizio di forma”, sul cui titolo italiano scommetterei un errore di traduzione clamoroso, non è un film di facile fruibilità ma merita di essere visto e sono convinto rientrerà a buon diritto fra le migliori pellicole dell’anno. A merito di Anderson sono anche da riconoscere una serie di battute e di circostanze davvero molto comiche e divertenti che innestano un certamente voluto parallelismo con quel mostro sacro che è “Il grande Lebowski” dei fratelli Coen e di cui mi sento di consigliare la visione prima del film di Anderson tanto i due protagonisti, residuati impenitenti di un’epoca estinta, sono simili fra loro.