Il nome del figlio locandina

Dopo “Scusate se Esito”, sono tornato in sala a vedere il film italiano in oggetto incoraggiato dalla visione, in un paio di occasioni, di un trailer molto ben fatto ed accattivante. Il mio interesse per il nuovo film di Francesca Archibugi è stato ulteriormente rafforzato dalla lettura di critiche molto positive anche se devo segnalare la profonda costernazione che mi ha provocato leggere su un notissimo quotidiano italiano una recensione in cui era comunicato il nome del nascituro oggetto del titolo della pellicola e, presumibilmente, elemento portante di tutto il film. Ipotizzando dal trailer quanto il mistero legato ad esso rappresentasse un elemento essenziale per il godimento del film, ho seriamente temuto di essere stato privato di un effetto sorpresa così vitale da compromettere la visione dell’intero film. In realtà non è così benché, devo ammetterlo, avrei ben preferito entrare in sala senza essere stato messo al corrente di tale informazione. In ogni caso, il nome apparentemente scelto da uno dei protagonisti per il figlio in arrivo è un enigma che trova soluzione nei primissimi minuti del film essendo, in realtà, proprio la sua rivelazione il fattore scatenante di tutti gli eventi successivi.

“Il nome del figlio” non è un lungometraggio che si presta ad un riassunto in quanto la trama è un tale susseguirsi di colpi di scena concatenati da non poter essere svelata in alcuna sua parte a discapito della fruibilità dell’opera stessa. Basti dire che il risultato finale è un affresco tanto realistico quanto angosciante di falsità, menzogne, insoddisfazioni e frustrazioni represse e nascoste in nome di convenzioni sociali, timori nei rapporti interpersonali e ipocrisie tanto laceranti quanto sono comuni fra persone che, come i protagonisti del film, sono legati da sentimenti di lungo corso. I rapporti fra i protagonisti si dimostrano presto logori, puntellati da gesti ed abitudini insincere che nascondono astio e, spesso, realtà opposte rispetto a quelle date per certe. Ciononostante i sentimenti che legano i personaggi sono sinceri e, a discapito di tutto, tanto forti da superare gli scossoni che,nel tempo di una semplice cena, demoliscono una dopo l’altra certezze consolidate. Le macerie che restano, però, non sono più paragonabili al castello di carte su cui i protagonisti avevano costruito le loro vite. La fatidica notte raccontata nel film sbatte in faccia ai personaggi realtà inaspettate che mutano i loro sentimenti e la loro scala di valori. Solo l’affetto e la sincera amicizia che li lega garantiscono il collante necessario ad evitare la disgregazione distruttiva dei loro rapporti e delle loro vite. Ciononostante tali sentimenti positivi hanno un rovescio della medaglia poiché sono causa stessa dell’infelicità dei protagonisti. L’affetto nato in gioventù non può sostituire l’amore perduto (e forse mai trovato) di coppie nate per abitudine di convivenza o per futili apparenze. L’amicizia di lungo corso si dimostra sul finale una gabbia da cui i protagonisti sono incapaci di fuggire e che, cosa ancor peggiore, offre un comodo pretesto per non cambiare nulla nelle loro vite. In questo contesto solo i figli sembrano dare una gioia sincera ed una autentica voglia di vivere.

“Il nome del figlio” è un film complesso, tutt’altro che banale e, benché non privo di battute e circostanze comiche, ben lungi dall’essere una commedia brillante. In tale contesto, tutti gli attori protagonisti si dimostrano bravissimi nei loro ruoli. Convincenti ed assai capaci, adempiendo pienamente al non facile compito loro affidato di offrire al pubblico personaggi sfaccettati e complessi, a volte ripugnanti ma sempre molto, molto umani. E’ impossibile non sentirsi coinvolti dalla vicenda narrata sia per la maestria con cui è raccontata sia per l’ambia gamma di caratterizzazioni presenti.

Due sole cose mi hanno lasciato un po’ perplesso. Prima di tutto ho trovato troppo numerosi i flashback inseriti nel racconto. Non essendo prontamente fatti percepire come tali allo spettatore, li ho trovati spesso inopportuni rallentando la linearità della narrazione. In secondo luogo, da un punto di vista più personale, gradirei non poco un film italiano che sappia finalmente raccontare le contraddizioni e le negatività della società italiana moderna senza dover necessariamente soffermarsi sugli anni ’60 e ’70 in modo nostalgico ed idealizzato. Per sperare in ciò, però, temo sia necessario un ricambio generazionale non ancora avvenuto.