Il Giardino delle Parole locandina

La sera di mercoledì 21 maggio 2014, nei cinema che hanno aderito all’iniziativa di Nexo Digital (http://www.nexodigital.it/1/id_358/Il-giardino-delle-parole.asp), gli appassionati hanno potuto godere della proiezione del film di animazione “Il Giardino delle Parole” di Makoto Shinkai. La pellicola, datata 2013, è una delle ultime fatiche del giovane regista giapponese dalla filmografia limitata ma già indicato dai più come uno degli autori più promettenti fra le nuove leve del cinema d’animazione nipponico. Personalmente non ho mai avuto occasione di vedere sue realizzazioni precedenti fra le quali  spicca per notorietà “Viaggio verso Agartha” del 2011. Mi sono perciò approcciato al film con grande curiosità.

“Il giardino delle Parole” è un medio metraggio di circa tre quarti d’ora la cui storia è narrata con una eleganza ed una sensibilità che definirei nipponica. Questa caratteristica ne determina i principali pregi ma anche alcuni difetti dettati dal difficile tema proposto: l’incontro ed il successivo rapporto di confidenza fra Takao, uno studente di 15 anni, e Yukino, una giovane professoressa che, senza che il primo ne abbia consapevolezza, insegna nella stessa scuola frequentata dal giovane. Nei soli giorni di pioggia, i due si incontreranno più volte nella serena tranquillità di un parco assediato dai frastuoni della città. In tale contesto i personaggi si confideranno uno all’altro, delineando le loro psicologie e le loro vite. Takao è uno studente dai genitori inaffidabili e con il sogno di disegnare e realizzare scarpe con le proprie mani, Yukino sembra vivere alla deriva, fuggendo dalla vita (si scoprirà che, a causa della sua avvenenza, ha attirato le invidie di alcune studentesse che l’anno accusata di intrattenere relazioni con i loro fidanzati, cosa che le ha causato non solo gravi difficoltà sociali ma anche serie ferite emotive).

Va subito detto che una visione superficiale della pellicola o, per lo meno, desiderosa di assistere allo svilupparsi di una storia d’amore fra i due personaggi, è destinata ad essere disattesa. Il regista non cede alla tentazione dei facili consensi garantiti dal racconto di una travagliata quanto convenzionale storia sentimentale, bensì preferisce raccontare come l’incontro dei protagonisti e le loro confidenze aiutino entrambi a superare le difficoltà della vita. E’ questo, a mio parere, il cuore pulsante del film e l’elemento cardine del suo fascino. Con l’evolvere del racconto, i personaggi comprendono quanto il loro incontro sia di importanza fondamentale per entrambi, avvertono quanto l’intimità nata fra loro abbia la capacità di sanare le loro ferite e di aiutarli a migliorare sensibilmente le loro vite. Essi stessi, nonché gli spettatori, sanno che, in diverse circostanze, un amore intenso e duraturo sarebbe nato fra loro ma, incerto come la primavera spazzata dalle piogge che accompagnano i loro incontri nel parco, anche il loro rapporto appare troppo precoce ed alla mercé della realtà perché possa dare i suoi frutti. Ciò non impedisce a Takao di confessare a Yukino il suo amore e le maldestre reazioni dei due personaggi saranno la scintilla della scena cardine di tutta la pellicola che, ovviamente, si svolgerà sotto la pioggia. Allo spettatore è, in ogni caso, concessa la speranza che non tutto sia finito. Takao prosegue nella coltivazione del suo sogno e Yukino ritrova in sé la forza di ricominciare ad insegnare.  Il film congeda lo spettatore con la consapevolezza che quanto vissuto sia un momento di passaggio lungo il percorso di maturazione dei due protagonisti e con la speranza che, trascorso qualche anno, sentimenti più maturi e consapevoli riavvicineranno Takao e Yukino.

Quando più sopra affermo che il film ha una forte connotazione nipponica, intendo dire che è indissolubilmente legato ad una sensibilità tipicamente orientale che impone al rapporto fra i protagonisti un ritmo di difficile compressione per uno spettatore europeo. Un gusto occidentale per la narrazione pretenderebbe che i personaggi fossero più schietti fra loro e con sé stessi, che i sentimenti fossero espressi chiaramente e che i protagonisti prendessero una posizione netta nei confronti degli stessi. Temo che esigere ciò da Makoto Shinkai sia profondamente ingiusto. In realtà il regista concede ai due personaggi un coraggio non comune considerando quanto la cultura giapponese sia in costante equilibrio fra la personalità individuale e le rigide regole di comportamento sociale. E’ importante non dimenticare questa differenza socioculturale quando ci si avvicina a “Il giardino delle Parole”. Ciò è essenziale per cogliere l’intensità con cui i personaggi si affidano uno all’altro nel momento in cui si confessano aspetti delle proprie vite che, certamente, la normale etichetta giapponese non consentirebbe mai di fare a due sconosciuti.

Un’ultima nota è doverosa sotto l’aspetto tecnico. “Il giardino delle Parole” è pura poesia in immagini. Le sequenze, i colori e la naturalezza con cui i personaggi si fondono con l’ambiente che li circonda rasenta la perfezione. Le scene di pioggia e soprattutto le panoramiche del parco dove si svolge gran parte degli eventi, sono straordinariamente belle e meritano già di per sé stesse la visione.

Il film, infine, è stato accompagnato da vari contenuti speciali (fra cui alcuni interventi sottotitolati del regista) e dal cortometraggio “Someone’s Gaze”, uno spot pubblicitario commissionato al regista da una società immobiliare che racconta il delicatissimo ed emozionante rapporto che lega padre e figlia.