In una giornata di Pasquetta oppressa dal cattivo tempo che ha reso inutile qualunque tentativo di avventurarsi all’esterno, è sembrato naturale, dopo un nuovo pranzo cucinato con maestria da mia madre a favore di parentado vario, recarsi tutti insieme al cinema per concludere la giornata con un poco di dovuta distrazione. La scelta di mia madre è ricaduta sul film in oggetto che può vantare la partecipazione di Woody Allen e di Sharon Stone.
E’ stato il primo film da me visto di Turturro dietro la macchina da presa e, pur non potendolo considerare un capolavoro imperdibile, ne sono rimasto piacevolmente conquistato.
Quello che più mi ha deliziato sono i toni pacati e riflessivi del film descrivibile come un piccolo ritratto a toni pastello della New York più ancestrale e nascosta. Lontano dai quartieri della finanza e dai grattacieli che nascondono il cielo, il film, giocando sapientemente con le caratteristiche e le particolarità delle etnie che da più tempo abitano la città (prima fra tutte quella ebrea, a seguire italiana ed afroamericana), mostra quartieri di una città che potrebbe essere una sonnacchiosa cittadina della più sperduta campagna americana. Piccole case di mattoni accostate le une alle altre, pacifiche strade alberate, parchi dai colori autunnali creano un contesto privo di masse turbinanti di persone, traffico assediante e sirene della polizia a cui siamo comunemente abituati pensando alla Grande Mela.
In tutta sincerità si tratta di un toccasana considerando i baracconi ipercinetici a cui ci sta forzatamente abituando il cinema americano col pretesto dell’improbabile supereroe di turno.
La trama è di per sé molto semplice e verte sull’astuto espediente di Allen, in crisi economica e con un numero imprecisato di figli avuti dalla moglie afroamericana, per improvvisarsi procacciatore di clienti per il suo amico Turturro, fioraio a tempo perso e volontario scelto per il ruolo di gigolò. La storia si evolve in una serie di eventi che mostreranno la difficile convivenza che gran parte dei personaggi ha con una solitudine di varia origine ed a cui il sesso non può dare una risposta efficace. A sollevare il morale del nostro eroe non poteva mancare un colpo di fortuna che solo nei film può accadere: avere come prima cliente e successivamente affezionata habitué nientemeno che Sharon Stone, splendida cinquantenne che, annoiata dal marito sempre assente, coinvolge Turturro addirittura in un ménage à troi. A Sharon Stone va riconosciuta, oltre l’interpretazione realistica e convincente di un personaggio che rischiava di scadere facilmente nella farsa, il coraggio di mostrarsi senza alcun trucco che ne riducesse l’età. Scelta coraggiosa, quest’ultima, che ne amplifica il fascino indiscutibile.
La pellicola, che scorre a tratti lenta e quasi (volutamente?) priva di una direzione precisa nella narrazione della storia, ha, a mio parere, il principale punto di forza nel rapporto di amicizia fra i personaggi di Allen e Turturro. A voler guardare tutto ruota intorno a questo elemento cardine foriero, tra l’altro, delle migliori battute del film a cui si aggiunge la ironica e pungente rappresentazione della comunità ebraica e delle sue regole comportamentali.