Vi sono molti aspetti politici, economici e sociali che legano indissolubilmente le due guerre mondiali del secolo scorso. Tali legami sono a tal punto forti che molte sono le ragioni che giustificherebbero il considerare i due eventi come un unico, gigantesco conflitto. Questa valutazione ha numerosi fondamenti anche da un punto di vista puramente militare. Benché, infatti, le due guerre mondiali siano state condizionate da concezioni strategiche totalmente opposte (posizioni statiche la prima, movimento la seconda) molti principi tattici abbozzati durante la Prima Guerra Mondiale, ebbero naturale sviluppo nel secondo conflitto e, in alcuni casi, raggiunsero la loro massima espressione venendo poi abbandonati nei primi decenni postbellici. Un buon esempio è, in tal senso, il concetto di “carro da sfondamento”. Già nella Prima Guerra Mondiale, l’esercito inglese, all’avanguardia nella produzione ed impiego di quelli che furono i primi carri armati al mondo, svilupparono una netta distinzione fra i Tank destinati a sfondare le prime linee avversarie e quelli, invece, predisposti per sfruttare tale breccia e dilagare nelle retrovie. I primi erano più lenti e pesantemente armati, i secondi più leggeri e veloci. In forza delle limitazioni tecnologiche dell’epoca, del settore ancora pionieristico e delle difficoltà pratiche ad applicare sul terreno tale concetto, furono molto rari i casi in cui i Tank inglesi riuscirono ad esprimere appieno tali teorie.
Con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale e l’imporsi della Blitzkrieg, i carri armati diventarono l’arma risolutiva e la colonna portante di eserciti strutturati sul movimento e la rapidità. Nei primi anni del conflitto, tale rivoluzione determinò la disfatta degli eserciti francesi ed inglesi ancora ingabbiati in rigide teorie consolidatesi a seguito della guerra precedente. Ciononostante i carri inglesi e francesi sviluppati fra le due guerre per essere i nuovi “carri da sfondamento”, quali il Matilda II inglese e B1 Bis francese, furono sempre motivo di grandi problemi per i Panzer tedeschi incapaci di reggere i colpi di tali avversari ed armati con cannoni troppo leggeri per perforare le corazze di tali avversari. Scontri potenzialmente rischiosi si risolsero per lo più in vittorie tedesche solo grazie alla maggiore velocità dei Panzer ed all’intervento dell’aviazione tattica e/o dei cannoni antiaerei Flak da 8.8cm. Ancor più difficile risultò per i Panzer tedeschi confrontarsi dal 1941 con i carri russi KV-1 e KV-2 che rispondevano agli stessi principi dei veicoli inglesi e francesi sopra citati. Fu proprio con l’invasione della Russia ed il prolungarsi della guerra che l’esercito tedesco dovette ingaggiare con i suoi avversari, prima di tutto con i Sovietici, una corsa agli armamenti che diede vita ai Tiger, la famiglia di carri armati tedeschi più famosa e massima incarnazione del concetto di “carro da sfondamento”.
I Tiger erano carri armati destinati a garantire alla Wehrmacht la supremazia sul campo di battaglia. Dovevano, quindi, essere in grado di incassare senza danno i colpi avversari grazie ad una spessa corazzata e distruggere il maggior numero di carri avversari grazie ad un cannone dalle altissime prestazioni. Resistenza e letalità erano anche finalizzate a conservare il più a lungo possibile la presenza del veicolo in prima linea e ad assicurare un’alta percentuale di sopravvivenza dell’equipaggio. E’ quest’ultimo aspetto, tutt’altro che trascurabile, che consentì ai carristi tedeschi di affrontare imprese ad alto rischio grazie alla fiducia che riponevano nei loro mezzi. I Tiger, infine, funsero da “carri da sfondamento” in fase di attacco incassando i colpi degli infiniti cannoni anticarro con cui Russi potenziavano le loro linee difensive e da perno di resistenza in posizione difensiva, ruolo che rivestirono sempre più spesso con l’avvicinarsi della fine del conflitto.
Se il Tiger I entrò in servizio nel 1942 rappresentando l’apice tecnologico dell’epoca nonostante fosse gravato da alcune obsolete concezioni prebelliche (in minima parte, ad esempio, faceva propri i principi delle piastre inclinate), il Tiger II, suo successore, era al contrario la massima espressione dello sviluppo tecnologico e progettuale derivante dall’esperienza nata sui campi di battaglia. Lo scafo a piastre inclinate, si accompagnava ad una torretta equipaggiata con il miglior cannone anticarro di tutta la guerra, il Pak-43 da 8.8cm. Entrato in servizio nel 1944, il Tiger II sfiorava le 70 tonnellate di peso e necessitava di una logistica di sostegno che l’esercito tedesco non era più in grado di garantire nella sempre più degradata situazione bellica dell’ultimo anno di guerra. Ciononostante, impiegati nei corretti contesti tattici ed in mano ad equipaggi ben addestrati, i Tiger furono sempre degli avversari letali capaci di divenire i peggiori incubi dei loro avversari.
Il Panzerkampfwagen VI Ausf.B “Tiger II” fu prodotto in poco più di 500 esemplari, i primi 50 dei quali furono equipaggiati con un tipo di torretta il cui design è comunemente ma erroneamente riconosciuto alla firma Porsche. In realtà fu Krupp ad occuparsi della progettazione di questa torretta (così come di quella di maggior produzione). L’associazione a Porsche è dovuta al fatto che fu quest’ultima a commissionarne la realizzazione a Krupp per equipaggiare le proprie proposte di scafo nell’ambito della gara di appalto per il futuro Tiger II (appalto poi vinto da Henschel).
La torretta “Porsche” era gravata da alcuni importanti difetti progettuali che ne complicavano eccessivamente la produzione e ne riducevano la resistenza ai colpi avversari. In particolar modo aveva un frontale che favoriva il rimbalzo verso il basso dei proiettili nemici con conseguente rischio che essi riuscissero a perforare il tetto dello scafo dal ridotto spessore. Fu subito evidente la necessità di svilupparne una migliore che avrebbe equipaggiato con grande successo la gran parte dei Tiger II ma ciò non impedì che le poche costruite fossero effettivamente utilizzate dando vita a due diverse versioni dello stesso carro: il Tiger II con torretta “Porsche” ed il Tiger II con torretta “Henschel”.
Il Tiger II con torretta “Porsche” fu il primo a raggiungere le unità combattenti e non mancarono gli esemplari che riuscirono a restare operativi fino agli ultimi mesi di combattimento. Alcuni di essi godettero una forte notorietà grazie alle attenzioni dei corrispondenti di guerra. Concludo questo excursus storico ricordando che il nome “King Tiger” (“Konig Tiger” in tedesco) è di origine alleata, l’esercito tedesco non identificò mai il carro in questione con tale soprannome.
Il modello Dragon in oggetto rappresenta il meglio della produzione modellistica di sempre. Il numero di pezzi, il dettaglio e la finezza degli stessi è semplicemente sorprendente. Nulla è lasciato al caso ed ogni elemento sembra essere riprodotto nel migliore dei modi possibili. Il kit in questione è uno di quelli capaci di rendere un’esperienza mistica anche la semplice apertura della relativa scatola. Sinceramente non riesco a cogliere anche un solo difetto pur dovendo evidenziare che tale abbondanza si traduce inevitabilmente in una complessità di costruzione che potrebbe non essere alla portata di tutti. A complicare ulteriormente le cose, è certamente la necessità di valutare con cura il posizionamento di ogni pezzo prima del suo definitivo incollaggio. Il montaggio di tanti elementi, infatti, rischia di essere molto difficile da gestire e Dragon è spesso oggetto di furiose critiche per le istruzioni di montaggio ricche di errori ed omissioni. Ciononostante il sorriso che mi brilla in volto ogni volta che apro scatole come quella in oggetto mi ripaga ampiamente delle perplessità sopra citate. Nel caso in questione, tale soddisfazione è ulteriormente rafforzata dalla meravigliosa riproduzione dello Zimmerit, la pasta antimagnetica che ricoprì i Panzer fino a settembre del 1944. Avere il suo complesso disegno già perfettamente riprodotto sulle corazze del carro è un vantaggio innegabile che aumenta esponenzialmente il valore del kit in oggetto. Ciò non toglie che, non dovendo essere realizzato a mano, impedisce stimolanti diversità fra un modello ed un altro ma, sinceramente, non sono abbastanza purista da farmi cruccio di ciò.