Sono certo sia ormai palese la mia assoluta passione per la saga animata giapponese “Macross”. A prova di ciò basti citare gli articoli scritti sui modelli da me realizzati così come le infinite recensioni dedicate al più vario merchandising da me acquistato nel tempo. A mio discolpa ci tengo a sottolineare che non sono l’unico ad idolatrare la serie TV “Chōjikū Yōsai Makurosu” del 1982 ed il correlato film cinematografico “Macross – Ai Oboete Imasu Ka” del 1984. Il successo di questo Anime si deve a molti fattori ed al contributo delle numerose persone che vi lavorarono. Fra queste spiccano Shoji Kawamori in qualità di Mecha Designer e Haruiko Mikimoto quale Character Designer. È in particolare Kawamori ad aver maggiormente legato il proprio nome alla saga di “Macross” avendo preso parte, anche nel ruolo di regista, a gran parte dei prequel ed i sequel che si sono susseguiti fino ad oggi. Ciò non deve sorprendere più di tanto, uno degli elementi più di successo di questa saga sono proprio i mecha e Shoji Kawamori è un mastro indiscusso nella loro creazione.
Se “Macross” è indiscutibilmente ricordata dai più per i caccia a configurazione variabile VF-1 della U.N. Spacy, la serie ed il film degli anni ’80 godono di un altro fattore forse meno iconico ma altrettanto essenziale al successo di una serie fantascientifica: l’estrema originalità dei mezzi da battaglia degli Zentradi, la razza aliena votata alla guerra contro cui l’umanità combatterà per la propria salvezza. Personalmente considero l’ideazione degli armamenti zentradi oggetto di un coraggio creativo e produttivo che attualmente nessuno avrebbe (purtroppo) l’ardire di proporre al pubblico. Se, infatti, le astronavi della flotta aliena assomigliano ad una sorta di capodogli spaziali e richiamano alla memoria i vascelli garmillassiani (colore compreso) di un’altra serie cult nipponica (“Uchū Senkan Yamato” del 1974), sono i mezzi d’assalto zentradi a toccare vette di originalità così estreme da segnare, come raramente accade, la fantasia dello spettatore. I riferimenti alla fantascienza anni ‘50/’60 sono evidenti. Si parte da “La Guerra dei Mondi” per arrivare ad “Ultimatum alla Terra” generando un insieme riuscitissimo fra modernità concettuale e forme tondeggianti tipicamente vintage.
Particolarmente iconici sono i Tactical Pod, veicoli bipedi monoposto che compongono le orde d’assalto zentradi. Essi si dividono in due categorie: i Glaug per gli ufficiali ed i Regult destinati alla truppa.
A loro volta, i Regult si diversificano a seconda dell’armamento (missili a corto o medio raggio) ed equipaggiamento. Quest’ultima tipologia è rappresentata dalla versione da ricognizione e guerra elettronica che mi ha sempre affascinato ed è possibile ammirare per brevi sequenze della serie televisiva.
Dei Regult esistono vari kit in plastica in scala 1/72 ed 1/100 ma si tratta di modelli ormai molto vecchi in quanto commercializzati ai tempi della messa in onda del cartone animato e rieditati negli anni successivi.
Nonostante a cominciare dal 2001 note ditte del settore modellistico come Hasegawa e Wave abbiano iniziato a produrre nuove scatole di montaggio dagli stampi moderni ed assai dettagliati, i soggetti proposti restano fino ad oggi limitati ai caccia VF ed ai vari mecha terrestri della U.N. Spacy. L’esercito zentrade sembra essere stato completamente dimenticato dalle grandi case modellistiche nonostante la varietà e l’originalità dei tanti soggetti riproducibili in scala. E’, conseguentemente, con grande piacere che ho accolto la notizia della nascita della piccola ditta australiana Return Two Kit Form che, forte del lavoro del maestro scultore John Moscato, ha iniziato a proporre kit in resina proprio di soggetti particolari come i Regult fra cui il mio preferito, quello da ricognizione. Date tutte queste premesse, non stupirà sapere che non ho perso occasione di acquistare il modello in questione.
E’ la prima volta che mi capita di avere fra le mani un modello interamente in resina di dimensioni ragguardevoli. Un Regult in scala 1/72, infatti, raggiunge l’altezza di una trentina di centimetri. Tutto appare ben fatto in questo modello. La scultura è estremamente raffinata ed i dettagli sono abbondanti e perfettamente riprodotti. Sarà comunque necessario un lungo lavoro di pulizia di ogni pezzo e le parti trasparenti, molto numerose data l’elettronica che equipaggia il veicolo, necessiteranno di una lavorazione particolare per renderle al meglio. Nulla di nuovo per un modello in resina. Per fortuna è evidente che, fin dalla fase di progettazione, vi sia stata una forte attenzione per fornire tutto l’aiuto possibile per facilitare l’assemblaggio di un veicolo estremamente delicato ed instabile date le lunghe zampe di cui è dotato. Ciononostante ho l’impressione che non sarà facile gestire la costruzione di questo modello. Non c’è motivo di stupirsene, i kit in resina necessitano per loro natura una mano esperta ma si tratta di una scultura eseguita con estrema cura e maestria perciò sono sicuro che i possibili problemi sono stati certamente ridotti il più possibile.
Come sempre, Andrea, anche questa volta hai saputo illustrare e spiegare bene anche ai “non adepti”! 😉
Son convinta, anzi son più che certa che questo tuo nuovo lavoro, ti porterà tante soddisfazioni e sarà bello come gli altri!. 🙂
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Grazie mille, Laura! 🙂
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