Mad Max Fury Road locandina

Ve lo confesso immediatamente: non riesco a formulare un’introduzione adeguata ad una recensione destinata a trattare quel cult assoluto che è Mad Max. Legata indissolubilmente alla cultura pop che, soprattutto negli anni ’80, ha segnato l’immaginario di tutti noi, la saga di Mad Max ha, con alti a bassi, ispirato e condizionato un’infinità di altre opere che, negli anni seguenti, hanno avuto l’ardire di seguirne più o meno direttamente le orme. Se ciò non bastasse, Mad Max gode di un forte senso di nostalgia che è propria di chi, come me, se ne appassionò ai tempi della propria giovinezza. Emozione questa che, soprattutto nell’ambito cinematografico, è ragione di conseguenze più che altro negative poiché, innalzando ad idoli intoccabili alcune opere che segnarono un’epoca, rende difficile se non impossibile un giudizio obiettivo su quei nuovi film che hanno la velleità di rinverdirne i fasti.

Non è facile, perciò, affrontare la visione del nuovo “Mad Max Fury Road” in quanto emozioni contrastanti si sommano in un vortice difficilmente gestibile. Penso convenga aggirare il problema domandandosi che cosa abbia reso tanto seminale la saga originaria di Mad Max. Che cosa ricordiamo con maggior intensità di questo personaggio? Le gesta o le battute? Sinceramente non me ne sovviene nessuna… Il look? Bhè, quello sì! Eccome! Fu addirittura ripreso da quell’altra leggenda che fu “Ken il guerriero”! Rammentiamo le storie narrate in ogni singolo film? Onestamente faccio fatica a distinguere una pellicola dall’altra, figuriamoci descriverne la storia per ognuno di essi… Ma, allora, che cosa ha più segnato il nostro immaginario? L’ambientazione? E che cavolo, sì! E pure i nemici dall’aspetto assurdo organizzati in bande criminali semplicemente folli come i mezzi di cui erano dotati. Questa è, a mio parere, la vera essenza di Mad Max: il futuro apocalittico e postatomico, l’umanità regredita allo stato animale, i deserti sconfinati, le risorse ridottissime e la lotta per il loro possesso e la sopravvivenza.

Se condividete questo mio parere, amerete moltissimo “Mad Max Fury Road” che, sotto la direzione sapiente e maestra di quel Miller che fu suo creatore originario, enfatizza al massimo tali aspetti, li torchia, li mischia e li amalgama perché si offrano nel loro splendore massimo creando un mondo tanto selvaggio quanto plausibile ed attuale (siete scettici su quest’ultimo aggettivo? Proseguite la lettura!).

A sua lode imperitura, Miller non si limita a proporre un Mad Max in salsa 2.0 ammodernando con le tecnologie attuali quanto aveva già ideato decenni fa, bensì sviluppa i temi a lui cari innestandovi elementi innovativi che non solo impreziosiscono sensibilmente la storia narrata ma riescono addirittura a porre in secondo piano quel Mad Max che dovrebbe essere il protagonista indiscusso. Scelta certamente azzardata ma coraggiosa e foriera di interessanti conseguenze. Prima fra tutti un quasi-protagonista che, libero da controproducenti scimmiottamenti di un Mel Gibson inimitabile, si reinventa tutt’altro che supereroe (lo catturano e lo privano dell’auto-icona nei primi due minuti di film), profondamente segnato nella psiche dai fantasmi di chi non ha saputo proteggere e talmente inselvatichito dal mondo in cui vive da esprimersi più che altro a gesti e grugniti di animalesca memoria. In altre parole, un personaggio violento e fragile allo stesso tempo, decisamente più umano del suo predecessore benché ciò ne impedisca l’ascesa ad eroe indimenticabile e, soprattutto, ne limiti fortemente l’empatia con lo spettatore. Questo nuovo Mad Max quasi autistico può facilmente essere indigesto ai più e, probabilmente, segnerà negativamente il giudizio generale del pubblico. Ciononostante è un fattore da me assai apprezzato perché, ora come noi mai, Max si merita il soprannome di Mad. Aggiungo che il mio giudizio positivo su questa scelta di Miller è prima di tutto determinata dal fatto che non sono un fan che considera certi film impossibili senza l’attore simbolo che ha fatto carriera grazie agli stessi. A mio parere “Terminator” o “Alien” hanno una storia portante così originale e ben strutturata da potersi evolvere senza bisogno di Arnold Schwarzenegger o di Sigourney Weaver. Al contrario sono convinto che voler sempre far in modo che i loro personaggi siano presenti nei seguiti, abbia condizionato molto negativamente l’evolversi di saghe che avrebbero potuto essere veramente epocali. Una tale visione necessita, però, un coraggio nei produttori ed una maturità degli spettatori che non sembra essere di questo mondo. Tutto questo per dire che, non rimpiangendo la mancanza di Mel Gibson in questo nuovo Mad Max, sono più facilmente disponibile ad apprezzare modifiche nella caratterizzazione del protagonista.

Questo ridimensionamento del personaggio Mad Max consente di spalancare le infinite possibilità offerte dagli altri personaggi che interagiscono con lo stesso. Tale opportunità è stata talmente ben sfruttata da Miller da poter indicare Furiosa, magistralmente interpretata da Charlize Theron, quale vera protagonista del film che, condividendo tale ruolo con tutte le altre donne del film, eleva l’intero genere femminile ad unico portatore di civiltà, speranza e redenzione e, per questo, oppresso e sfruttato dai detentori del potere materiale, tutti rigorosamente uomini. Il soggiogamento e lo sfruttamento della donna è il mezzo primario con cui i nuovi re-dei del mondo post-apocalisse consolidano il proprio potere e tentano di renderlo eterno piegando al loro volere il dono della procreazione. Questa concezione dell’allevamento umano e della donna concepita come fattrice di una prole “eletta” non è estranea alla realtà. Basti pensare ai rapimenti di donne e ragazze che, partendo dal Ratto delle Sabine, si sono susseguiti fino ad oggi con Boko Haram e non solo.

Strettamente connesso a questo tema è quello del condizionamento psicologico delle nuove generazioni. Inconsapevolmente sottomessi a quegli stessi vecchi che furono responsabili della distruzione del mondo e che ora si mostrano a loro come divinità, i giovani divengono esaltati strumenti di difesa per quello stesso potere che li opprime. Il loro unico desiderio è di immolarsi secondo i desideri del loro dio-padrone nella convinzione che questo sia l’unico modo per entrare in un paradiso, il Walhalla di origini nordiche, che esiste solo nelle loro menti plagiate. Il parallelismo con l’estremismo islamico è evidente ma potrebbe essere esteso a qualunque tipo di dottrina cieca e liberticida. Anche in questo caso, la tenerezza e l’amore che porta con sé la donna sarà in grado di aprire gli occhi ad un giovane uomo che ha conosciuto solo violenza. Ciò favorirà una maturazione che lo porterà a liberarsi dalla catene che lo imprigionavano ed a sacrificarsi spontaneamente per proteggere valori troppo tardivamente scoperti. Questo tema non è da sottovalutare. Non è un caso che gli estremismi religiosi e i regimi totalitari si fondino sempre sull’oppressione della donna. Essi si rendono conto che l’emancipazione di quest’ultima determinerebbe l’imporsi di valori che porterebbero al loro crollo.

Tutto quanto precede si incatena saldamente al controllo delle risorse naturali che, ridotte ai minimi termini, permettono a chi le possiede di proporsi come una divinità alla folla di disperati disposti a credere a qualunque cosa pur di sopravvivere. L’acqua è al primo posto fra le necessità primarie ed è una verità che andrebbe sempre ricordata ogni volta che apriamo un rubinetto. Seguono la benzina e le munizioni per ogni genere di arma (viene mostrata nel film anche una pistola P-08 “Luger”, considerata già ai nostri giorni un cimelio storico).

Penso che quanto preceda dimostri la potenza del film di Miller ed i mille spunti di riflessione che offre. Ciò non significa che “Mad Max Fury Road” manchi di azione. Al contrario ve n’è in abbondanza ed è proposta in un modo che, sinceramente, non mi capitava più di ammirare da tanto tempo. Quello che è prontamente percepibile visionando il film è la concretezza delle acrobazie che vi si svolgono. Gli effetti speciali al computer sono ridotti ai minimi termini e questo concede al film non solo un realismo ormai inusuale ma ne enfatizza anche la godibilità al cinema. Molto spesso, infatti, la computer grafica è abusata allo scopo di ingannare l’occhio dello spettatore che, trascinato in sequenze inutilmente confuse, non riesce a percepire i dettagli e, quindi, la qualità effettiva di quanto propinatogli. “Trasformers” è emblematico in questo senso. Nel caso di “Mad Max Fury Road”, il fatto di aver realizzato moltissimo in presa diretta permette da una parte di offrire allo spettatore lunghe scene d’azione senza mai perderne il filo logico, dall’altra enfatizza al massimo l’impatto incantante del grande schermo. E’ qui che subentra l’elemento che più mi ha affascinato del film: il deserto ed i suoi incredibili colori. La fotografia di “Mad Max Fury Road” è veramente notevole e sempre attentissima a trasmettere la potenza incredibile dell’ambiente in cui è stato girato. Quando poi, alle innumerevoli sfumature naturali si somma il rosso delle fiamme, il risultato è davvero spettacolare.

Ultimissima nota la dedico ai veicoli, tutti originalissimi, accattivanti e semplicemente impossibili. Un pensiero di ammirazione lo invio a chi li ha inventati e disegnati ma provo pura invidia immaginando il divertimento di chi è stato chiamato a costruirli assicurandone il perfetto funzionamento.

Concludo confessando che “Mad Max Fury Road” non è privo di difetti (è, a mio parere, troppo lungo; una sola sequenza “baraccona” in meno avrebbe consentito una riduzione della durata senza togliere nulla al film), ciononostante mi ha convinto molto più di quanto mi aspettassi e mi auguro che Miller (e solo lui) si dedichi ad un futuro seguito.